Pubblicato da Sara Guglielminetti
A 33 anni di distanza dal primo Alien, Ridley Scott dirige il prequel Prometheus, in sala dal 14 settembre. La recensione contiene spoiler. Titolo: Prometheus Regia: Ridley Scott Sceneggiatura: Jon Spaiths, Damon Lindelof Data di uscita: 14 settembre 2012 (Italia) – 3 giugno 2012 (U.S.A.) Distribuzione: 20th Century Fox Genere: fantascienza, azione, thriller Durata: 124 min. Cast: Noomi Rapace, Michael Fassbender, Charlize Theron, Idris Elba, Guy Pearce, Logan Marshall-Green Trama: Scozia, 2089. Due archeologi (Rapace e Marshall-Green) fanno una scoperta eclatante: l’Uomo è stato creato dagli “Ingegneri”, una razza aliena. Nel 2093, l’astronave Prometheus arriva sul pianeta LV-223 con il compito di cercare gli “Ingegneri”.
RECENSIONE Sono passati 15 anni dall’ultimo capitolo della quadrilogia di Alien: era il 1997 quando il regista francese Jean-Pierre Jeunet (diventato poi famoso per un film di tutt’altro genere, la commedia Il favoloso mondo di Amélie) riportava in vita – letteralmente – Ellen Ripley e, con lei, la Regina aliena con Alien – La clonazione. Paradossalmente, il miracolo di Jeunet (entrambe le protagoniste erano morte alla fine di Alien³, il claustrofobico terzo capitolo di David Fincher del 1992) sembrava aver segnato definitivamente la sorte del franchise di Alien: l’idea della clonazione alla base dell’ultimo capitolo era apparsa come un’inutile forzatura e rappresentava un punto morto per ogni eventuale sequel plausibile. Eppure, quando i primi rumors su un nuovo film (reboot, prequel, sequel?) hanno cominciato a circolare, ogni preoccupazione dei fans è svanita come per miracolo: e il miracolo si chiama Ridley Scott. E’ pur vero che nel curriculum del regista britannico sono presenti “solo” due film di fantascienza, l’ultimo è datato 1982. Se, però, i due film in questione, Alien (1979) e Blade Runner (1982), hanno cambiato per sempre il genere fantascientifico, l’entusiasmo dei fans (e non solo) è facilmente condivisibile. Ora che l’attesa è finalmente finita, chiariamo subito due cose. Punto 1°: Prometheus è collegato ad Alien ma NON è il suo sequel diretto. L’inizio del film si svolge nel 2089 in Scozia e, trascurando i due crossover con la serie di Predator, è la prima volta che il franchise di Alien “sbarca” sul nostro pianeta: solo nel finale de La clonazione, la navetta con Ripley tornava verso la Terra. L’astronave Prometheus arriva poi sul pianeta LV-223 nel 2093, dopo 4 anni necessari all’organizzazione del viaggio da parte della Weyland e al viaggio vero e proprio in ipersonno; nel primo Alien, invece, l’astronave Nostromo atterra sull’LV-246 solo nel 2122: pianeta dove si svolgerà poi Aliens – Scontro finale (sequel action iperadrenalinico diretto da James Cameron nel 1986). Fra i due film resta, quindi, da riempire un buco di quasi 30 anni e i rumors su un sequel di Prometheus – che dovrebbe (l’uso del condizionale è d’obbligo) tirare le fila e chiudere la linea temporale – abbondano sul web. Ad oggi, infatti, sembra probabile un nuovo film in uscita nel 2014, sempre diretto da Scott e con lo stesso cast superstite (Noomi Rapace e Michael Fassbender). Punto 2°: Prometheus NON è il capolavoro che tutti ci aspettavamo. E’ un buon film di fantascienza, ma imperfetto ed incompleto, senza quel quid che ha reso speciale Alien. Ora, qual è il problema principale di questo quasi prequel di Alien? Paradossalmente è proprio l’alieno, l’altro, il diverso, che qui viene declinato in due versioni: da un lato, gli Ingegneri, la razza aliena superiore che ci ha generato ma che poi vorrebbe distruggerci senza spiegazione di sorta (e questa è una pecca della sceneggiatura) e dall’altro, il mostro alieno vero e proprio, prima nella forma di un simil-serpente e poi nella forma “calamaresca” del “figlio impossibile” che nasce dall’amore fra Noomi Rapace, sterile, e Logan Marshall-Green, infettato dal liquido nero. Se gli Ingegneri possono incutere qualche timore reverenziale, le altre forme aliene generano più perplessità e ribrezzo che terrore vero e proprio. Nella mitologia di Alien, ovviamente, l’alieno ha sempre fatto paura. Nell’Alien originale, l’attacco del facehugger, l’alieno che si aggrappa al volto, e poi la “nascita” del chestburster, l’alieno che fa letteralmente esplodere il petto al povero John Hurt, sono due scene cult che sconfinano nell’horror. In Aliens, Cameron aggiunge l’anello mancante: la terribile (e bellissima) Regina che depone le uova e difende la sua prole. Gli ultimi due capitoli ripropongono la stirpe aliena con alcune variazioni sul tema: in Alien³ l’alieno viene incubato da un Rottweiler (nel director’s cut da un bue) anziché da un uomo, mentre ne La clonazione la Regina, clonata insieme a Ripley, partorisce (sì, partorisce davvero!) un ibrido di specie aliena e umana. L’unico vero fremito si ha nel finale quando il figlio “calamaro” della Rapace, infetta l’Ingegnere e nasce “Lui”, l’antenato del nostro amato chestburster (o meglio “Lei”, perché si presuppone sia una Regina per dare una continuità logica alla serie). Anche nella scena della cabina medica, Scott prova ad incutere paura auto-citando la nascita del primo Alien, ma a ruoli invertiti: quella volta, infatti, John Hurt era la vittima ignara dell’alieno-carnefice, mentre, in Prometheus, Noomi Rapace, consapevole di avere un alieno che cresce dentro di sé, si auto-pratica un cesareo (da sveglia!) per eliminarlo. E quando il laser punta l’addome della Rapace, la tensione è palpabile: peccato che la scena horror smetta di terrorizzare proprio nel momento in cui vediamo l’improbabile alieno a forma di calamaro, estratto da un ancora più improbabile rampino da giochino delle giostre! Delusi? Sì, un po’ sì, ammettiamolo. Infatti il tema principale di Prometheus – che, non a caso, cita direttamente il mito greco di Prometeo (colui che creò l’uomo dal fango) – non è la paura dell’alieno come in Alien, ma la sete di risposte che spinge la protagonista, la Dott.ssa Elizabeth Shaw, a cercare gli alieni: chi sono gli Ingegneri? perché ci hanno creato? e, una volta capite le loro intenzioni bellicose, perché ci vogliono distruggere? Ed è qui che Scott si spinge oltre e dirige un film di fantascienza più filosofico che horror, ma è anche qui che il film “si incarta”: la sceneggiatura, scritta da Damon Lindelof e Jon Spaiths, introduce tutta una serie di domande interessanti che non trovano risposta e che vengono accantonate nella seconda parte del film per concentrarsi maggiormente sull’azione e sull’horror. Questo doppio registro genera un film non equilibrato, discontinuo, con alcuni plotholes piuttosto evidenti e scene così improbabili da diventare assurde. Effettivamente, visto come film a sé stante, Prometheus è profondamente incompleto: anziché spiegare i fatti pre Alien su cui i fans si scervellano da anni, questo prequel serve solo a creare nuovi interrogativi e dubbi. E se per Jon Spaiths si può parlare eventualmente di inesperienza (siamo alla sua seconda sceneggiatura dopo L’ora nera, film di fantascienza del 2011 con Emile Hirsch), per Damon Lindelof (sceneggiatore principale di Lost, insieme a Carlton Cuse) si tratta di consuetudine. Ora, chi ha seguito la serie tv (o ci ha provato) ha già capito benissimo qual è il problema di fondo: dare una risposta e creare altre dieci domande. La filosofia di Lost, già discutibile se applicata ad una serie lunga 6 anni, diventa inadatta ad un film di 2 ore che doveva spiegare anziché confondere. Si spera ora che l’eventuale sequel – con un nuovo sceneggiatore – riesca a tirare le fila e ad arrivare al tanto atteso collegamento “diretto” con Alien, non solo cronologicamente ma anche “logicamente”. Anche i personaggi risentono di questa sceneggiatura imperfetta e risultano bidimensionali, freddi, quasi banali e privi di approfondimento psicologico: tifiamo per loro, ovvio, ma senza coinvolgimento “di pancia”. Sigourney Weaver e la sua Ripley hanno avuto 4 film per diventare icone cinematografiche, ma Noomi Rapace (la trilogia svedese di Millennium), purtroppo, non riesce a rendere molto credibile la sua Dott.ssa Elisabeth Shaw. Il parallelismo con Ripley, evidente soprattutto per il tema della maternità, aliena e non, fa risaltare lo scarso spessore della nuova eroina anche nelle scene più ritmate. Persino al finale del film manca il pathos che aveva, ad esempio, la lotta finale fra le due “madri” in Aliens: la Regina che vuole salvare la sua prole contro Ripley alla ricerca della piccola Newt, unica sopravvissuta del pianeta LV-426 e sua figlia “adottiva” (nel director’s cut si scopre che Ripley aveva davvero una figlia, morta 2 anni prima del suo ritrovamento). La stessa Charlize Theron (Young Adult), solitamente perfetta anche nei ruoli da villain, risulta poco convincente nei panni della bellissima e algida Meredith Vickers, autorità di controllo della missione. Il personaggio più interessante è David, l’androide appassionato di cinema che imita Peter O’Toole in Lawrence d’Arabia e interpretato dall’ottimo Michael Fassbender (Hunger). Citando Bishop in Aliens – Scontro finale, David è decisamente un “androide vecchio modello un po’ capriccioso”: non aspettatevi quindi un androide protettivo e “buono” come Bishop (Lance Henriksen) o Call (Wynona Ryder), stavolta torniamo alla ferocia di Ash (Ian Holm). Quindi Prometheus è un disastro completo? Assolutamente no, perché nonostante la sceneggiatura un po’ traballante e il cast non eccezionale, Scott dirige con mano ferma e firma un’opera stilisticamente ottima. Visivamente eccezionale ma meno claustrofobico del primo episodio, Prometheus è sicuramente un buon film di fantascienza. Siamo onesti, però: dal “papà” di Blade Runner e di Alien ci aspettavamo qualcosa di meglio, o almeno un finale diverso. In attesa del previsto “sequel del prequel” (e per farvi quattro risate), guardate qui e, con questo finale, sì che saremmo usciti felici dalla sala!