Regia: Gus Van SantOrigine: USAAnno: 2012Durata: 106'
La trama (con parole mie): Steve Butler e Sue Thomason lavorano per un colosso della lavorazione dei gas naturali, e si occupano di "conquistare" le aree rurali ancora potenzialmente sfruttabili offrendo ai proprietari una percentuale - irrisoria - sui futuri milionari introiti senza alzare troppo la voce a proposito degli effetti che le trivellazioni possono avere rispetto all'equilibrio ambientale del luogo.Steve è in rampa di lancio per un salto di qualità nella sua carriera, e pare che anche questo incarico si risolverà con un successo facile facile: ma l'intervento di un ex professore mette in crisi gli abitanti del piccolo centro, e l'arrivo di un ambientalista particolarmente deciso a mettere i bastoni tra le ruote ai due venditori complica ancor più le cose.Riuscirà Steve a completare l'ennesima "missione" per la Global? O è forse giunto il momento per lui di aprire gli occhi?
Ricordo che vidi Will Hunting in sala, ai tempi dei tempi, in compagnia di due dei folli che riuscivano a sopportare la presenza del Ford adolescente senza dare troppi segni di squilibrio - in fondo, erano molto poco equilibrati anche loro -.
E ricordo quanto bene mi fece quel film apparentemente "minore" di Van Sant, un Autore di quelli con la a maiuscola che era già riuscito a conquistarmi con il magnifico Drugstore cowboy - ancora oggi, forse, la sua pellicola che preferisco -, pur non avendo ancora tutti gli strumenti e le esperienze per apprezzarlo fino in fondo.
A distanza di sedici anni - e quasi mi pare incredibile anche solo pensarlo - il regista di Louisville torna ad unire le forze con Matt Damon, protagonista e sceneggiatore allora come ora con questo Promised land che pare un fratello maggiore e più maturo proprio di Will Hunting, pur non avendo, a livello di storia, nulla in comune se non una sorta di progressivo e prevedibile riscatto emotivo del suo main charachter.
Curioso quanto la critica non stia accogliendo con particolare entusiasmo questo titolo che, per quanto telefonato possa apparire nella sua evoluzione, ha invece il grande merito non solo di unire l'autorialità sfrenata del buon Gus - e limarla in positivo -, il gusto per il Cinema indie e quello dei titoli conciliatori in grado di dialogare con il grande pubblico, ma soprattutto di fornire una fotografia assolutamente vivida di questi tempi di crisi che attanagliano l'ex mondo "da bere" occidentale creando una frattura tra le classi sociali e tra le grandi multinazionali del profitto e la realtà di provincia profonda come mai prima.
Esempi clamorosi e da brividi di questi opposti punti di vista sono proprio Steve e la sua collega Sue, il primo in rampa di lancio per una carriera brillante al soldo della Global e la seconda che vive come eminenza grigia del più giovane e di successo partner lavorativo: Steve che dalla presentazione di sé all'incontro con gli ostacoli che si materializzano nei volti dell'anziano professore in pensione e dell'ambientalista arrembante ha come prima preoccupazione quella di confermarsi come "una brava persona", mentre Sue porta avanti una filosofia certamente più realistica e funzionale ma che lascia scoperti nervi come il rapporto con il figlio o quello che potrebbe nascere con Rob, mitico negoziante locale che vende "chitarre e pistole" oltre a tutto il resto, e che viene riassunta dal quasi drammatico confronto finale tra i due e da quel "è solo un lavoro" che pesa come un macigno da qualunque parte lo si voglia guardare.
Perchè, almeno per quanto mi riguarda, Steve, Sue e tutti gli abitanti delle cittadine perdute tra il nulla e l'addio che visitano in cerca di nuovi, milionari affari - tristi e limitati uomini di provincia, gente di cuore o sognatori delusi in fuga dalle città soffocanti - non sono "solo un lavoro": ma del resto, il sottoscritto è sempre stato dell'idea che si debba lavorare per vivere, e non vivere per lavorare.
Certo, forse non ho mai trovato l'impiego dei sogni, o forse ho coscienza del fatto che non riuscirei a sacrificare le mie passioni per qualcosa che possa essere tradotto in un ruolo, una promozione o un titolo, eppure un film a tratti decisamente amaro come Promised land è riuscito a farmi guardare attorno con la testa un pò più alta, non fosse altro che per l'illusione di chi vuole credere che ogni tanto le cose possano andare diversamente, senza che valgano necessariamente le regole del profitto e dell'apparenza che rendono quel lavoro "solo un lavoro", passando sopra a tutto e a tutti, anche a se stessi.
Da esseri umani abbiamo già tanta merda da ingoiare, e come improvvisati cantanti mezzi sbronzi impegnati in una serata del dilettante lottiamo ogni giorno affinchè si possa trovare un senso nel nostro passaggio su quella grande palla di terra, e perdere tempo con qualcosa che finisce per soffocarci un pò di più è davvero un'inusitata violenza allo specchio.
Così, per una volta, lascio che mi conquisti la telefonata speranza di una Terra promessa che forse non sarà il Paradiso che tanti si aspettano, ma sarà il mio fottuto Paradiso, la porta aperta dalla proprietaria della mia felicità.
O, per dirla come potrebbe Van Sant, My own private Paradise.
MrFord
"The dogs on main street howl,
'cause they understand,
If I could take one moment into my hands
Mister, I ain't a boy, no, I'm a man,
And I believe in a promised land."
Bruce Springsteen - "Promised land" -
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