foto tratta da www.catanzaroinforma.it - Fiumarella 22 novembre 2011
L’ennesima pioggia violenta, l’ennesima alluvione. Il cinismo mi fa sorridere a denti stretti: un ghigno beffardo. Il sorriso cattivo del “te l’avevo detto”, del presuntuoso e del saccente, l’espressione facciale gaudente di chi dentro cova un misto di risentimento e di rabbia. E’ l’espressione bieca e nascosto della nostra moralità falsa ed ipocrita, che sussulta davanti ad un preservativo o ad un letto di un malato terminale e invece dorme beata ignorando la coscienza del bene collettivo. E’ il nostro ritratto, orrendo e ripugnante, nascosto in quella soffitta in cui entriamo di rado, solo quando non ne possiamo fare a meno; per poi richiudere la porta in fretta e continuare a fare i “ Dorian Gray”.Ecco quindi il “prontuario”, oramai scritto da decenni di “esperienze” in tema di dissesto idrogeologico:
“Una pioggia eccezionale”: è una delle scuse principali di cittadini ed amministratori: nascondere i risultati delle proprie azioni, attribuendo alla natura colpe non sue. Misurare la quantità di pioggia caduta è uno degli strumenti dell’autocommiserazione conseguente.
“Esondazione”: è una parola il cui significato è storpiato per le auto giustificazioni. I fiumi non esondano dal loro letto: siamo noi con i nostri edifici – spesso orribili – ad aver occupato lo spazio di quei fiumi.
“Frana”: termine associato quasi sempre a “strada interrotta”, città isolata”, “traffico”. Le frane sono quasi sempre colpa nostra. Siamo infatti noi a disboscare in modo incivili e i territori, siamo noi che non ci occupiamo di tenere viva l’agricoltura e quindi la cura dei terreni, specie di quelli scoscesi.
“Il Comune mi impedisce di costruire la mia casa: io la faccio lo stesso”: tipico pensiero di chi non accetta vincoli di legge, considerandoli orpelli inutili, catene che negano la libertà individuale. E’ il “Comune” ad essere in torto, non io.
“La mia casa è stata portata via: ho perso tutto”: espressione tipica di chi ha posseduto un’abitazione quasi sempre edificata in luoghi a rischio idrogeologico. In questi casi l’edificio o è edificato regolarmente in zone pianificate malissimo – da coloro che noi eleggiamo insieme ad altri cittadini come noi, tecnici “non politici” ma compiacenti - o è costruito abusivamente, quindi sotto piena coscienza del proprietario che, dopo l’alluvione, pretende anche – e l’ottiene – un contributo dallo Stato che ha precedentemente frodato.
“Noi politici dobbiamo riflettere…”: tipicissima espressione di chi, sempre dopo il disastro – e mai prima – pretende di purificare la sua anima sporca pronunciando frasi di cui non conosce il significato. Solitamente questa fase di “purificazione” dura da una settimana a pochi mesi, in base al numero di morti e feriti contati alla fine dell’evento alluvionale.
“Rabbia”: tipico sentimento che si diffonde rapidamente negli animi delle persone all’indomani di questi fatti. Solitamente l’oggetto della rabbia sono i politici inetti e incompetenti (ed eletti dalle persone stesse) che non hanno agito preventivamente per evitare il disastro. Anche qui evidente il fenomeno del lavaggio temporaneo di coscienza, a trenta gradi, giusto per dare una parvenza di pulito. Anche in questo caso, il numero di danni e morti determina la durata di questo stato di indignazione.
“Ricostruzione”: un tema classico: la ricostruzione post evento alluvionale. Puntualmente il momento della ricostruzione ha già dimenticato il momento dell’emergenza. Si ripropongono nella maggior parte dei casi – a spese ovviamente dei cittadini - i “ripristini” dello stato di fatto dei luoghi ante disastro: è il via libera tacito e compiacente della politica e dei liberi cittadini al prossimo evento “catastrofico”.