E le leggi elettorali non fanno eccezione; anzi, confermano l’attaccamento del nostro legislatore ai periodi fumosi e incomprensibili. E più una legge è oscura, più ci sguazzano i sedicenti paladini della legalità.
L’attuale legge elettorale per il rinnovo del Parlamento (L. 270/2005 in sigla numerica, porcellum per la stampa, porcata per il suo relatore di maggioranza al Senato) appare di difficile comprensione e contradittoria sin dalla sua definizione: è infatti definita dagli studiosi una legge elettorale proporzionale ma prevede, non di meno, un premio di maggioranza per il partito (o per la lista) che ottenga il maggior numero dei voti.
Allora vediamo di fare chiarezza, semplificando al massimo; mi scuso con gli esperti per l’inevitabile incompletezza ma cercherò di cogliere gli aspetti più importanti.
Cominciamo con il dire che la legge in base alla quale noi rinnoveremo la Camera e il Senato tra pochi giorni è di fatto una legge a prevalenza maggioritaria.
Essa infatti, per quanto riguarda la Camera, assegna 340 seggi su 630 (corrisponde al 55% dei seggi in palio a livello nazionale: sempre semplicando, bisogna scorporare da 630 i 12 deputati assegnati agli italiani che si candidano e che votano all’estero) alla coalizione (oppure al partito) che ottenga il maggior numero dei voti a livello nazionale. Ciò significa che i primi 340 candidati delle varie liste in gara ( Bersani, Berlusconi, Grillo, Monti, Ingroia, Giannino o chi per lui, ecc.) saranno nominati deputati se la loro lista prenderà anche un solo voto in più rispetto alla seconda classificata (le altre liste si divideranno i seggi residui in proporzione ai voti).
Al Senato il meccanismo analogo ma si applica su base regionale (e non su base nazionale come per la Camera).
In pratica, esemplificando: in Lombardia il partito che arriva primo, prendendo più voti dagli elettori votanti in Lombardia, prenderà il 55% dei 49 seggi in palio in quella regione;chi vince in Piemonte si prenderà il 55% dei 22 senatori in palio in quella regione; in Sardegna il primo partito prenderà il 55% degli 8 senatori assegnati dalla legge a quella regione e così via per ogni regione.
Se l’Italia fosse un Paese omogeneo sul piano territoriale e sociale non ci sarebbe nessun problema per questa differenza nel sistema di conteggio. Ma il problema è che in realtà il Belpaese ha una forte connotazione di carattere regionale per cui è presumibile che la Lombardia voterà diversamente dalla Sicilia e dalla Campania, così come il Piemonte e il Veneto, premieranno liste diverse da quelle preferite nel Lazio, nell’Emilia Romagan e nella Toscana.
Per questo motivo è prob abile che dopo il 25 febbraio rischiamo di avere una maggioranza alla Camera diversa, o più fragile, rispetto a quella che avremo in Senato.
E questo non è nè bello nè auspicabile; anche perchè i merc ati finanziari ci stanno aspettando al varco.
Un’ultima cosa: i partiti piccoli e le liste scarse, che prendono ppochi voti, non hanno diritto a alcun posto in Parlamento (e anche questa è una peculiarità di carattere maggioritario).
Personalmente auspico che gli Italiani votino in maniera omogenea sia a livello nazionale e sia a livello regionale, così che si ottengano maggoranze omogenee in entrambi i rami del Parlamento. E lo dico anche se io sono un fautore dei sistemi proporzionali puri e non amo il maggioritario di alcun tipo.
Buon voto a tutti.
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