Questa è la storia di Brassai, un nottambulo che, nella grande insonnia della Parigi degli anni 30, decise di fotografare quel che accadeva di notte per le Rue. Il suo vero nome era Gyula Halasz, figlio di un docente di letteratura ungherese e di madre armena, nacque in Transilvania, tra le fredde e boscose montagne di Brasov, insieme al Novecento, nel 1899. Studiò a Budapest pittura e scultura, prima di essere chiamato, giovanissimo, nell’esercito Austroungarico per combattere la Prima Guerra Mondiale. Archiviata la Grande Guerra e dopo una breve parentesi a Berlino, nel 1925 emigrò verso il fronte opposto: Parigi. Una città ancora orgogliosa della Bella Epoque, che aveva sventato una invasione ed era pure sopravvissuta ai bombardamenti tedeschi. Fiera e vittoriosa, era adagiata in un tempo sospeso, a cullare nelle sue brasserie, nell’arrondissement di Montparnasse, gli artisti del surrealismo.
Una città illuminata, dove già da molti anni i lampioni non erano più una novità, dove cominciava a risuonare nei vivaci e ambigui locali notturni qualche nota jazz, migrata da oltreoceano nella terzaclasse di una nave arrugginita. Una città dove partivano deboli i primi segnali televisivi e venivano addiruttura installati i semafori. Brassai, pionere della fotografia notturna, ci ha lasciato una testimonianza unica di queste strade della notte parigina, ed era difficile, all’epoca, spiegare a qualcuno che uscivi di notte per fare delle foto…Figuriamoci riuscire a farlo diventare un lavoro e un’arte. All’inizio fu infatti vittima di diverse disavventure come scippi, aggressioni e più volte, per scappare, mandò in mille pezzi la macchina fotografica, ma piano piano imparò a muoversi disinvolto e sicuro, tra le vie secondarie e oscure della Bella Paris, come uno di quei signorotti usciti dal balletto, o quel ladruncolo o quel pappone che andava fotografando dopo il tramonto. La notte di Parigi era tutt’altro che dormiente, animata da prostitute, clochard, amanti, operai al lavoro, forze dell’ordine e gangster, ed i suoi occhi stranieri avevano fatto un patto con questi nottambuli: inquadrarli tutti nell’eternità.
“Sono stato ispirato a diventare un fotografo, dal mio desiderio di tradurre tutte le cose che mi incantarono, nella Parigi notturna che stavo scoprendo”
E fu proprio a Montparnasse che ampliò le sue conoscenze artistiche fino a trovare lavoro come fotogiornalista presso la rivista Minotaure (avamposto del surrealismo) , dove illustrò un articolo di Salvador Dalì dal titolo: “La bellezza terrificante e commestibile dell’architettura dell’Art Nouveau” e si affermò in breve tempo come ritrattista ufficiale degli artisti legati alla rivista come Breton, Dalì, Giacometti, Picasso, ecc (in basso)
Era il 1933, stesso anno in cui pubblicò una raccolta di foto, scattate nei suoi viaggi al termine della notte con la sua Voigtlander Bergheil: “PARIS DE NUIT” che gli fece guadagnare il soprannome “L’occhio di Parigi” e destò l’interesse di molti artisti dell’epoca. Un occhio ungherese, immigrato e vinto. A guardarle una ad una, non sembra difficile capirne il perché.
“Parigi è come una puttana. Da lontano pare incantevole, non vedi l’ora di averla tra le braccia. E cinque minuti dopo ti senti vuoto, schifato di te stesso. Ti senti truffato.”
Diceva contemporaneamente il suo amico e scrittore Henri Miller, appena trasferitosi a Parigi, in Tropico del Cancro.
Lo scopo della fotografia di Brassai è quello di intensificare la vita in qualsiasi forma essa si presenti davanti ai nostri occhi, per quanto depravata, nascosta ed inaccettabile essa ci possa sembrare. Una dichiarazione d’amore alle infinite realtà soggettive, che influenzerà i flash di un certo tipo di fotografia fino ai giorni nostri.“Mi piacciono gli esseri viventi; mi piace la vita, ma preferisco catturarla in modo che la foto non si muova.”
“La Fotografia, nel nostro tempo, ci lascia una pesante responsabilità. Mentre stiamo giocando nei nostri studi coi vasi di fiori rotti, con le arance, mentre studiamo i nudi e le nature morte, un giorno sappiamo che saremo chiamati a pagarne il conto: la vita sta passando davanti ai nostri occhi senza essere guardata”
“Per me la fotografia deve suggerire, non insistere o spiegare”
“Tutto quello che volevo esprimere era la realtà, perché nulla è più surreale”
Nonostante le frequentazioni surrealiste, Brassai mantenne sempre una certa distanza critica dal movimento e dai suoi automatismi. Distanza che si conferma nelle sue foto, dove due sono gli elementi principali e intrinsechi che si occupano di creare delle visioni del reale nel reale, come degli spazi rubati, dei riflessi, delle duplicazioni:
1) la luce notturna artificiale, libera o distorta dalla nebbia, una specie di occhio di bue che cade sulla scena realizzandola, senza inventare nulla
2) gli specchi, con il loro inquadrare fisso e inopportuno l’inesistente
Il soggetto deve restare la realtà e il genio al massimo deve avere la pazienza di catturarla e ritagliarla, aspettando i lunghi tempi di esposizione in notturna, mai riplasmarla o esasperarla. Un vero e propriorealismo poetico.
“Il surrealismo delle mie immagini non è altro che il reale reso fantastico da una visione particolare”.
Quando nel 1940 l’esercito tedesco occupò Parigi, Brassai inzialmente fuggito a Sud, tornò in città per recuperare e salvare i negativi che aveva nascosto, ma il divieto di scattare foto in pubblico imposto dall’esercito occupante, lo spinse verso altre forme di espressione come la poesia, il disegno e la scultura, già praticati prima dell’arrivo a Parigi. Solo con la Liberazione, nel 1945, tornò alla fotografia proseguendo il percorso già intrapreso, ma forse, la guerra, quelle notti giovanili, curiose ed affamate, le aveva offuscate.
“Dopo venti anni si può iniziare a essere sicuri di ciò che la fotocamera farà”
Nella sua continua ricerca di forme di espressione figurativa, nel 1956 arrivò addirittura un successo cinematografico: fu premiato il suo film “Tant qu’il y aura des bêtes” (As long as there are beasts) a Cannes come il più originale e fu menzionato, ovviamente, anche per la fotografia. Oltretutto va ricordato che Brassai scrisse ben 17 libri, il più tradotto: “Conversazioni con Picasso” nel 1964. Considerato uno dei più grandi fotografi del ’900, ottenne il primo riconoscimento a Parigi nel 1974 come Cavaliere all’Ordine delle Arti e della Letteratura e dopo quttro anni vinse il Grand Prix National de la Photographie. Morì dieci anni dopo e fu seppellito a Montparnasse, luogo dove nacque la sua prima foto.