Prospettive: Omaggio di parole a Sayaka Maruyama

Creato il 01 luglio 2015 da Wsf

Sayaka Maruyama è nata in Giappone nel 1983 e si è laureata presso l’Università d’arte del Giappone nel 2005, quando ha cominciato il suo celebre progetto Neon O’Clock Works. La sua prima monografia, intitolata Krageneidechse, è stata pubblicata nel 2007, anno in cui si trasferisce a Londra. Maruyama ha esposto a Londra e Tokyo e le sue immagini sono state pubblicate su molte riviste tra cui il British Journal of Photography, la rivista Silvershotz, il Financial Times Magazine e Eyemazing.
Sayaka Maruyama, attinge a riferimenti classici giapponesi e motivi surrealisti, il suo lavoro esplora contraddittorie interpretazioni contemporanee delle nozioni giapponesi di bellezza, da prospettive sia occidentali e orientali. Maruyama ha guadagnato notorietà soprattutto per la sua serie Japan Avant-Garde, in cui l’artista intreccia le manipolazioni digitali delle immagini, con elementi di carta collage e pittura ad acquerello per creare intricate opere che esaltano un senso di bellezza.

***

“sei gradi ” di Francesca Dono

Erano altre parole,nude e incompiute come fiori di cambria a nascere,
sottratti dal buio per una liquida notte di sole a Dicembre.
-Solo poche sillabe non hanno avuto respiro-
scivolate dalla carta alla morte o distrutte e ritorte a decorosa apparenza.
Ad ogni modo erano me stessa,
dentro il corpo madre a dilatare,
fuori dalla civiltà di plastica,
oltre quest’età freddAsei gradi,
………………………………………………
che ormai da secoli parla.

***

Bianco di Alba Gnazi

‘’Hai del polline sulle ciglia’’; col dito soffi
la polvere del bianco – socchiudo gli occhi; tu
ti sdoppi: traspari:
allestisci frammenti di vento
per il mio respiro; io
disbrigo il battito che mi viene su
in punta di sguardo: schiudo un ‘’ Finito?’’,
pesto un’ombra e m’ indecido

– una portiera sbatte, un pallone sfonda, una voce stona
la cima di un discorso di cui colgo
atti d’impazienza e polvere sul finestrino -;

a pochi rulli di mondo la tua schiena
è l’unico presente compatibile
con le risposte che c’infiorano i piedi; ostenti un
‘’Sì’’ e mi carezzi il viso; ribadisci il silenzio che spunta
distonie umorali e foschie;

escludi il vento dal mio corpo con l’abbraccio
che altrove instrada il buio, le origini, i fetori;
quell’assenza d’urto che mi strofina
il petto e che tutte le volte
– io so che lo sai –
mi commuove.

***

fiorisce la parola
indossa la tua carne

impara l’aprirsi
della corolla all’alba

(Carmen Morisi)

***

L’arte del massacro Di Jonathan Varani

Tu arrivi
dall’anfratto degli incubi
e siedi
al baccanale dei desideri,
nuda ti sporgi
sulle radici
della memoria
e fiorisci senza tempo
dal livido delle stagioni.
Smascheri gli autunni
nelle notti lente
e
ti ubbidiscono
le sue sepolture.
Mi hai trovato,
ancora digiuno
nell’attesa
che il fato
torni dopo una stagione
a fiorire in un altro tempo.

***

Fame di Chiara Baldini

Ho fame di labbra
e di un albergo caldo asciutto
come dove il tuo fiato nacque
a da allora m’imbambina quel tanto
da farmi pulita di talco
e sporca di bugia bianca.
Se effimera è la cosa non poco
mi par a volte vera
da bastarmi quieta e aggiustata.
Come mai quieta mi sono bastata
come mai ricordo d’essermi incrinata.

***

OMBRE di Marino Santalucia

Verrà la pioggia
a portar via le ombre dal corpo
che scivolano via, senza voltarsi
come pagine di un libro chiuso.
Senza un cenno
perché non vi fosse agonia
fermo l’istante
condannando il bianco e nero
all’eternità.

***

infiorescenza di Mirella Crapanzano

un ramo di ciliegio si è posato sul capo
ieri, che la notte intera muoveva
a una dolce appartenenza
sbucava da una sillaba incompiuta
un’aria adamantina, fresca di prato
a fiorire tra le braccia, a colmare
le cose perdute nel rovescio degli anni.

***

Germoglio Nero di Jonathan Varani

Venne la notte
ed il mio corpo
stentò a star fermo
nella pelle.
Si svegliarono
le liriche
della tua poesia
cantando sui
solchi trascorsi.
Poi s’impastarono
col buio
della mia nuova solitudine
e rimasero rapprese
per sempre
nel calco del tuo
ultimo bacio.

***

Come dire bocca
senza la tua bocca
senza i tuoi occhi
dire occhi come
triangoli affilati
dall’assenza che spingono
nel rosso verticale
– non ho voglie che macchino i vestiti
tra gli sguardi sbiaditi lenti
in successione identica –
le punte accesedentro
la carne di un pensiero
lì da capo, nel nido scuro
della nuca.

Quanto manca sotto
le prime vertebre e il seno
quanta porzione di passi e
di carezze, una metà in silenzio
in attesa una tessera smussata
di mosaico, pensando al resto di te,
lontano tutta l’era del disgelo,
l’altra parte di me
che ti appartengo per intero
dopo ogni avverbio dopo l’elenco pallido
di ogni sospensionee poi a seguire
il punto del discorso, io perdo la visione netta
del(tuo) volto io mi perdo i contorni,
e aspetto che il tuo corpo completi l’illusione
d’essere un poco più del niente
che mi porto addosso.

(Silvia Rosa)

***

m’ero vestita di piume di Mirella Crapanzano

quella linea d’ala, giuro, è arrivata dopo
che m’ero vestita di piume d’uccello
ero terra, nuvole a vista d’occhio
corrente ascensionale d’acqua
vertigine intagliata sulla pelle.
il becco, da subito, ha preso, invece
una natura propria, solitaria
evasa da consuetudini
a volte si muove, a mia insaputa,
punta in alto, ad un parto di cielo
con dietro una cometa.
niente è più come prima
nel mio corpo di donna, ora
che la bellezza ha scoperchiato
il vaso
racchiuso nello sterno.

***

La fenice di Rosario Campanile

Ne sei certo?
Credi davvero che potrà mai essere come speri, come sogni, o meglio, come dici di sognare?
Non vedi proprio che il mio corpo si trasforma, diviene altro da quando si plasmava sotto le tue mani, non ti accorgi che ogni poro reclama libertà dalla polvere di cui mi ricopri, che ogni singolo pelo si raddrizza fiero all’immagine di me senza di te?
dio, dio, ascolta il mio urlo, liberami da questa necessità divenuta passione e poi abitudine, dio, dio, fa che per me sia finalmente il settimo giorno, che non ci sia più nulla da creare, nulla più da toccare con le mani immerse nel fango, che la fatica sia giunta al termine, che le orecchie possano ascoltare note diverse.
Cercami, se ne sei capace, se hai coraggio, scovami, se lo stomaco ti regge, reggimi.
Non sono più costola di Adamo, una fenice nasce, dalle polveri dei giorni.

***

Aquilone di Romeo Raja

Appese al chiodo
troverai le mie parole
quel poco di nostro che ancora rimane
il filo.
Non ho più bisogno del vento
per volare.

***

Rubare un respiro
e irrompere attraverso la prospettiva spezzata.
Grido d’immagine in senso scarlatto inciso d’azzurro
rincorre il vuoto che riempie la forma e deforma le tempie
Taccio nel mio tempo indiviso, il sorriso nella notte, il sogno sposo, mio sposo.
Taglio netto un controverso testo al profumo d’oleandro
che elabora petali di gelsomini sul piano saldato del tulle
Coniugata a disordinati pensieri, con penetranti occhi, e giorni zoppicanti.
Giorni inclini d’azzurro inciso in scarlatto senso.
Ora, sagoma sola, spina tra spose e rare rose
nel malfermo ordine delle cose.

(Afasia)

***

Che giorno Funesto e Magnifico! di Jonathan Varani

Sotto il mandorlo quasi spoglio di linfa
scivola il kimono come vita dalla pelle,
s’abbandonano i soffi tra i capelli
e si aprono gli origami nascosti.
Sopra la primavera del tatami,
contro gli eri severi che si slacciano,
foglie di mandorlo respirano sul collo.
Danzano ignari contro la lama di lingua
che presto li seppellirà
con un’improvvisa nevicata.
Avrei voluto inventarti un’altra volta.
Da qualche altra parte.

***

Primitiva di Chiara Baldini

(Non si finisce mai di cadere dal nido).

Madre di terracotta, morbida
al ventre piegato se questo è
Il volere di Dio, credere voglio.
Ma sono primitiva, rodo la pelle
e scarto pellicce
e mastico il crudo
e taglio d’amigdala un ramo.
Mi proteggo e scopro il fuoco.
Nella nostra paura ricomincio, da capo.

***

Uno sguardo perso nel cielo,
Ritrovi un volto di ragazza;
Nel vuoto velo del tuo essere
Giace un silenzio imponente.

Schiudi gli occhi e scorgi significati nascosti;
lo scruti intensamente
come stessi attraversando
strade mai percorse.

Risuona in te
l’eco del suo passo.
Ti colpisce costante,
E attendi;
la tua vita è laggiù.

Una ragnatela di sentieri
Si infrange nella luce.

La strada si è conclusa
E tu guardi oltre,
Ma nei tuoi occhi è rimasto il suo riflesso.

(Angelica D’Alessandri)

***

Mettere alla prova la tua dislessia evolutiva attraverso la mia disortografia, l’avanguardia di un registro elettronico, fosforo disabilitato, endovena di galleggiamento, pruriti ignifughi, raccolta punti per l’acquisto di rifiuti specializzati, segatura impermeabile, grani di sale distesi al sole, non fiori ma opere di bene, la claustrofobia delle amarene, montagne verdi, montagne decadute, pecorino di Pienza, brodini di panna montata, endovena chi viene a cena? Il rosso o il nero? Stendhal e la sua sindrome da Santo Graal, l’opportunismo dei senza tetto, l’egoismo di chi desidera un mondo perfetto, fumo l’ultima poi giuro che smetto, quante volte l’avrò detto? Arriva l’architetto, sciogli il nodo alla gola e respira, sgozza la solitudine e apriti un varco tra la beatitudine delle bestie. Svestita pari rugiada in calore, sei l’inverno che non sa tacere, ossido di litio, immaginazione di un belvedere inospitale, le parole vuote sono quelle che fanno più male.

(Luca Gamberini)

***

Sbocciatempo di Sacha Rosel

Diramo verso l’alto,
la bocca pressata sulla pagina, colma come un fiore.
Melograno scheggia e guizza
dalle mie mani,
foglie di parole e versi
a chicchi
ciliegi
luce
silenzio.

***

VULCANO di Rosaria Iuliucci

Acqua / Vento / e non più il freno della forma.
Stantia mi è ora la vita
con lacrima a goccia e respiro che è castigo
sul rovescio di un cammino
che scruta attento lo scatto della fuga
come una danza non fatta che a malapena si calza
smisurata d’assenza e di abbagli di fiato .

Cenere o Creta
a puntellare questo passaggio d’ere
senza parole effimere e crude
nell’andare e tornare / come in un rovescio di polvere
che sfibra e sdruce tagli succhiati
da una violenza disumana o un orgoglio che inghiotte d’amore .

Non ho più argini sui fianchi
ma solo apnee notturne a caricarmi il ventre.
Non dimentico lo strato di terra che mi si sciogle addosso
negli orli della notte dove
ti cammino ancora addosso e di te prendo vita
lacerata ma mai dimenticata .

***

se attendo l’idea di esistere non commetto errore
lo sguardo non rivolgo ed è tutto spento
il corpo fluttua e la forma si disperde
galassia in espansione quasi potrei sorridere
a quest’idea che non mi serve

(Sofia Demetrula Rosati)

***


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