Antonio Palmerini è un fotografo italiano contemporaneo.
Le sue fotografie mostrano personalità multipla, malinconia, disturbo bipolare, depressione, paranoia e sociopatia.
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Sei al di fuori di ogni istinto.
Mi parli. Non dici nulla.
Mi guardi con gli occhi chiusi.
Tocchi senza mani.
Il tuo corpo è una libellula in un sudario di aghi di pino,
leggera e inerte;
vola nel vento, non si libra più.
Una foglia che cade dall’albero,
la linfa ancora fresca,
morta tocca terra.
Sgranata in una coltre di fango
sarà terra d’estate.
Il tuo corpo come il suo
cambierà col mutare delle stagioni
e lo vedo con i miei occhi,
è ancora mio, sei già da un’altra parte.
Di Daniela Montella
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_in coscienza_di Francesca Dono
nulla di più complesso
sulle correggiole
addossate——– > a densi cieli.
Occhi a grandine
stessa linea solida
che sfarfalla
al piagnucolo maledetto.
-Si prosciuga un’altra piaga-
Facile ignorarsi
tra tante bocche chiuse .
__________________________diciotto e trenta
Campane di nuvole
a testa bassa
due calze ,in resto, della piccola guerra .
-Nulla sfugge alla coscienza-
Dentro uno spreco di piombo
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°scioccamente
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°morso alla barra d’acciaio
il patto ha sibilato: anche domani?
Beffardo nel presente
e dalla mia costante stoltezza
°°°°°°°°°°°°°°sfonda tre spanne d’ipocrisia.
Poi
io svanisco
imperfetta alla scena
fine
ad un altro inizio.
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Non hai mai adorato Springsteen, ai concerti preferivi il fisting, il disamore per la vita ti ha portata a credere che la parola amore sia solamente un’ironica battuta, di caccia, alla volpe, o al fagiano come nel tuo caso. Non spari mai a salve, colpisci sempre per non dare scampo alla tua preda, ti fingi servile, ti fingi schiava, ti fingi morta, ti fingi perfino mentre ti dipingi, troppa banalità nella tua originalità, così fan tutte, belle, ricche, povere, brutte, quando nevica sul tuo cuore senti appena, appena, un po’ di calore, che ti infastidisce alla narice. Vorresti ma non puoi, poiché il tuo dogma te lo impedisce, a Pian del Voglio ho trovato un quadrifoglio malato, di solitudine. Di necessità virtù.
Di Luca Gamberini
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Nel sangue e sulla pelle inizio e fine di Maria Allo
Nella notte presenze silenziose [versi in ascolto]
all’alba scolpiti nel rigo di un fiore.
Inseguo una verità più forte del buio
che mi tiene in vita. Non c’è riparo.
So di un cielo grigio di nubi e sperso in un verso.
Alla radice il mare all’infinito
scivola su grumi di corsivi
ma questo silenzio vivo nelle foglie
scolpito in un respiro a volte muore.
Non c’è riparo.
Alto nel vento il coraggio
scava nel buio di Novembre
fino al varco senza peso.
Ecco c’è un aprirsi in cerchi larghi
dentro il giorno argina il nulla che ci tiene
consonanze di memorie
scrivono il silenzio antico delle cose.
Siamo lo stesso sogno morti e vivi
e l’universo si fa largo un po’ alla volta
striando le gote del mattino con una falce viola .
Resto a contemplare il buio
come cellula scomposta andata a male.
Il silenzio esplode sui marosi di luce
affilo le attese in cerca di significazione
dentro la vertigine dissonante delle cose.
Tra il sonno e la veglia mi sembra di camminare in volo.
Non sono sola.
Dietro un salice viola, piangente d’alghe
le nostre pupille sono pesci di cristallo,
sui sassi gialli levigati che il mare invade.
Infinite traiettorie s’intersecano
in una corsa incessante
Che siano lembi di ragione impigliata
tra i rami fitti del roseto o gli asfodeli
dei frassini sino alla cala?
Cézanne inchioda la luce sugli oggetti
per dare concretezza allo sguardo.
Ecco. Rimarrò a vegliare.
Nel sangue e sulla pelle inizio e fine.
***
non abbiamo la visura catastale del dolore appesa al collo
le modifiche del tempo, i passaggi di proprietà del cuore
un libretto d’istruzioni a maneggiarci con cura
sono segrete le cose che spezzano la schiena
fanno della pelle un posto fragile, dell’amore una guerra
sono strani gli uomini, nella forza delle tagliole
trovano la forza della guarigione
ti dirò l’ora della solitudine, lo spazio dove il mondo
impara a scorrere lento, nella bassa marea di conchiglie
su certezze di sabbia, le caviglie nude, uno scialle di lana
a coprire le spalle e davanti la vita che spara
ti dirò i passi della rinascita che scrivo a giorni alterni
come a raccontare un vento che sposta e benedice
te e la terra che ti copre, amore mio
di Annamaria Giannini
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Nube disadorna
che mi vaghi intorno nuda
sei laccio teso alla gola
quando taci vendicativa
nera tentazione
una fiamma che divora
avanzi
con occhi famelici desiderando
la fioca luce dei miei sospiri
disorienti
mentre slacci impulsiva
ogni solitudine dalla mia vita
donami perfide ali
in questa infinita caduta tra le tue braccia
un canto carnale a cui ubbidire.
di Maria Francesca Ferraina
***
vai dovunque
dentro me nell’improvviso di carne
che è una parola
sbalorditiva come silenzio
scompensato da tutto questo stare
che mai significa quanto
il certissimo trovarmi
fuori bocca, fuori mano, fuori misura
nella fitta totale dispersione
sulle tue slacciature
così vivo
nella tua luce di un altro mondo
l’occhio dilata e squadrifoglia
il verde intrattabile
che non lasci andare e mi continua
di Sylvia Pallaracci
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Amavi il mio sorriso
sopra ogni altra cosa
E mi sognavi così
libera e sinuosa
Con gli occhi mi carezzavi
dalla testa fino ai piedi
E tutto mi offrivi
di quello che eri
di Miriam Bruni
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Non sono io
non sono
non
Io non conosco
non ri-conosco
nescio
Se potessi strappare
il lento vero
dallo strame del tempo
Se potessi riemergere
da tanti mari
a nuove spiagge
Non sono questo
ma l’altro
non ricordo
Il suo fare
non fare odiare amare
si è perso
Che me ne faccio adesso
di questo viso
che non mi spetta
di questo suono
di questa voce
appesa
di questo velo
che racconta la morte
in dissolvenza
Dove sono le gemme
esplose a primavera
i prati di certezze?
Sbocciano acute spine
dove al vento ridevano le rose
guardando il cielo
di Guido Mura
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A MALAPENA CAPISCO di Roberto Marzano
A malapena comprendo
di accontentarmi d’un sogno
attraversato dal traffico
di aperitivi amaranto
e di demoni appesi
a un ombrello ubriaco
il cicaleccio dei clacson
folla in fretta di niente
corde tese ai tranvai
incollati alla bocca
ed il fiato che abbaia
il clamore dei taxi
non disperde l’urgenza
di cercarti e rapirci
se a malapena capisco
la mia faccia slacciata
sfilacciata di scarpa
che sta a galla nel buio
della gola trafitta
da un semaforo rotto…
***
Il giardino perduto di Rosaria Iuliucci
-stropiccio l’armata del mio riflesso di vetro
nel non luogo sversato nel tempo
dove reduce da ogni volontà scolpita
mi adorna spumosa l’assenza
nel dubbioso e disordinato oblio
che a pezzi sul bordo della carne inabissata
ritrovo nelle forme ferite e cadenti
galleggianti come in una fiera di immagini oscure
ritrovate nell’altrove di un corpo che fu giardino
o angolo delle mie azioni mancanti /
ho beccato l’irrequietezza dipinta d’attesa
su di un muro con la lingua spezzata
scavalcandomi di una nullità poetica
che si fa mosaico oltre gli occhi
in versi e murali scrostati senza forza
nascosti negli involucri di una memoria frenata
e impolverita di ossa franate esattamente li /dove
l’addio si fa più leggero e rauco
se incoraggiato dal dolore
donando all’esistenza un lato di sogno ed un ultimo rumore –
***
Al mio amore,in questa mattina cruda di nebbie, scrivo poche righe d’umore scuro, di desiderio che insinua varchi tra le ore senza meta.
Se fossi qui da toccarti appena, ti racconterei la storia di un abbraccio, comincerei sfiorandole tue spalle e i seni timidi, avventurandomifino alla stretta, al nodo del respiro. E nel silenzio smetterei la linea curva dello sguardo, per incontrare il cuore dei tuoi occhi, il loro battito invitante quando si schiudono in attesa, e poi mi lascerei cullare nella notte tua stellata e quieta, dormendo un sonno sazio di carezze, limpido, tra i tuoi capelli sciolti.
Invece sono lontano mille baci e tu distante, così mi manchi come manca terra ai passi lievi dell’infanzia, e gravito intorno alla tua immagine impalpabile, che gira e gira nella testa, senza fermarsi un attimo, senza il tuo odore la tua pelle la tua voce senza il sole acceso della tua presenza, tutta intera, che sboccia la mattina tra le pieghe candide dell’inverno e mi entra in bocca piano come un presagio d’allegria.
Da qui ti scrivo, amore mio, da un vuoto d’ovatta, dove il fotogramma sbiadito di te scompare corpo, è un passero che sbatte contro i vetri chiusi di questo mio risveglio asciutto, stanco. Ti scrivo per augurarti che sia un buongiorno, per dirti ancora e ancora che mi manchi forte, per stare con il tuo ricordo sulle labbra mentre a memoria ripasso il nome che ti chiamo, con le dita dure fredde, tra le cosce.
Di Silvia Rosa
***
la tua memoria così atroce
riflette sui cardini freddi delle finestre
ho un dolore qui, dentro le parole
che sono così nette da spaccarsi come arance
il mio sguardo è multiplo,
incurante delle forme che il nero non trasforma
ma dimentica
di Antonella Taravella
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annunciazione di Patrizia Sardisco
il saluto, poi il nome
e aveva mari alieni
e marini mormorii
onda che prima d’essere sonora
fuoco celeste e forgia
e il focolaio era
dell’altra me fuori di me stessa
me che ti fui affidata
limine illimitato illumina le mani
reggi e governa
il frutto e reggi la parola
e me
dalle pietà moleste
reggi e governa
ventre dentro la mano e vento e verbo
dietro vetro cemento
grazia piena: poesia
***
Dacci oggi di Romeo Raja
Dimmi che piangi
senza scriverlo qui
riconoscendo
una a una
le lacrime
il sapore
dove vanno a finire.
Oppure mangia
come ogni giorno
mangia.
***
SOLO FUMO Di Marino Santalucia
La tua ostinazione
le belle teorie
la filigrana tra le parole difficili
sembra un pezzo di pane raffermo.
Anni ed anni
senza un soldo di dialogo
se non
a senso unico
il tuo.
Vorrei confessarti tutto
le monete che tintinnano dentro me
depredata
senza una verità
divorata
dai tuoi giudizi.
In questo buio che attanaglia
ho sparato due colpi
puntando al tuo ego.
Finalmente
il silenzio.
***