Articolo di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi pubblicato sul Corriere della Sera il 30 maggio 2013
Il rientro dell'Italia fra i Paesi «virtuosi» è stato accolto con unanime sollievo. Molti interpretano questa decisione come l'inizio di una nuova era, in cui i vincoli europei non saranno più un ostacolo all'aumento della spesa e al taglio delle tasse. Non è così.
Innanzitutto la chiusura della procedura di infrazione avviene a condizioni precise: che il deficit non superi più il 3% del Prodotto interno lordo (Pil) e che l'Italia faccia alcune riforme importanti: contratti di lavoro, partecipazione al lavoro delle donne, liberalizzazioni dei servizi, istruzione, giustizia civile, semplificazione delle tasse, banche, burocrazia. Tutte cose che avremmo dovuto fare anche senza farcelo chiedere.
L'ultimo Documento di economia e finanza (Def) del
governo Monti (aprile) stima che il prossimo anno il deficit pubblico dovrebbe essere intorno all'1,8% del Pil. Se così fosse ci sarebbe la possibilità di diminuire le imposte sul lavoro di circa 20 miliardi, riducendo il cuneo fiscale, cioè
la differenza fra salari netti per i lavoratori e costo del lavoro per l'impresa. Ciò alzerebbe il deficit, ma lo manterrebbe entro la soglia del 3%.
Purtroppo però, quelle stime sono basate su ipotesi ottimiste. E infatti solo poche settimane dopo la pubblicazione del Def, la Commissione europea abbassava il nostro tasso di crescita nel 2014 allo 0,7%, (ieri l'Ocse ha previsto 0,4) con un deficit che salirebbe al 2,5% del Pil. Insomma saremo fortunati se il deficit nel 2014 rimarrà sotto il 3% anche senza spendere un euro in più. Per il 2013 poi la
Commissione prevede un deficit esattamente pari al 3% con un Pil che cade dell'1,3%. Ma l'Ocse stima -1,8, il che già ci porrebbe quasi sicuramente a
rischio di riapertura della procedura.
Insomma lo spazio per un taglio delle tasse purtroppo non c'è, né il margine
per utilizzare i fondi strutturali europei il cui cofinanziamento aumenterebbe
il nostro deficit. L'uscita dalla condizione di «sorvegliati speciali» deve
essere l'occasione per ripensare una strategia per la crescita e la riduzione
del debito. Le cose da fare sono note da tempo. Attuare le riforme strutturali
suggerite per l'ennesima volta dall'Europa. Rimettere le banche in condizione
di prestare denaro, un altro punto sottolineato nelle raccomandazioni della
Commissione. Per far questo, si può utilizzare il Meccanismo europeo di
stabilità (Ems), come ha fatto la Spagna. Diminuire la pressione fiscale, in primis
sul lavoro, e di una quantità che faccia differenza, diciamo 50 miliardi.
Per far questo occorre negoziare con l'Unione Europea un temporaneo superamento della soglia del 3% in modo da poter ridurre subito le imposte sul lavoro.
Contemporaneamente adottare un piano di riduzione delle spese spalmato sull'arco di un triennio. Il deficit rimarrebbe superiore al 3% ancora per due anni e rientrerebbe solo fra tre. Come la Francia.Ovviamente affinché un simile piano sia credibile e si realizzi in tutte le sue parti, non solo in quelle più facili, dovremmo sottoporci alla sorveglianza di Bruxelles.
«Sorvegliati» rimarremo comunque,inutile illuderci, perché le stime di crescita ci spingeranno comunque oltre il 3 per cento anche senza far nulla su tasse e spese. Ma, allora, almeno barattiamo l'inevitabile controllo di Bruxelles per fare qualcosa di utile, non per sopravvivere navigando a vista intorno a un fatidico e inafferrabile 3 per cento.