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Il corteo era silenzioso, lugubre, le sopracciglia arricciate a scavare una ruga nera e profonda che accomunava ogni volto, da quello giovane e brufoloso di sedici anni al più vecchio, un viso di novant'anni segnato e rugoso come una corteccia. In mezzo a loro impiegati, poliziotti, guardie del corpo, due o tre operai, casalinghe con i mestoli in mano, negozianti, clandestini, stagisti, avvocati, militari, giudici, medici, becchini, macellai, disoccupati, insegnanti, casellanti, musicisti, studenti, ballerini, elettricisti, più un migliaio di altre professioni. C'erano proprio tutte, anche le statue viventi. Giacche, cravatte, occhiali da saldatore, stivali da pescatore, tutti impastati in una falange compatta, risoluta a raggiungere l'obiettivo: ribaltarlo, scalzarlo dalle sue altissime scarpe, strappargli quell'orrenda parrucca d'asfalto, liberare il mondo dalla sua follia, ormai manifestatasi nella sua forma più grottesca.
Non c'era stata nessuna chiamata alle armi. Quel mattino la rabbia era esplosa improvvisamente, senza il bisogno di ulteriore sdegno per alimentarla. Dopo decenni di quiescenza si era accesa, e non poteva più essere arrestata. La gente era scesa in strada, ognuno con il proprio "basta" lampeggiante negli occhi, ed era partita.
C'era sacralità nel loro movimento. I passi risuonavano, inesorabili, verso qualcosa che non erano mai riusciti a raggiungere, timorosi, distratti, accecati. Ma tutte le soglie erano state superate, e l'esplosione era stata il culmine fisiologico a cui, prima o poi, si doveva giungere. E adesso, nel corteo che sembrava infinito, il pensiero di tutti quegli anni sprecati rimbombava e acuiva il furore.
Mancavano poche svolte al palazzo. Camminavano verso il sole e verso la battaglia. Erano pronti a sputare sangue, contro l'esercito del padrone. Uomini alti, ben vestiti, mascherati dietro occhiali scuri. Erano gli uomini di cui amava circondarsi, chiamati per una volta a fare qualcosa di più di una scenografica sfilata a favore delle telecamere.
Ma il corteo trovò qualcun altro ad aspettarli.
Si fermò, in preda alla confusione. Gli occhi schizzarono a destra e a sinistra, in cerca di risposte e trovando solo smarrimento. Qualcuno pensò ad uno scherzo, ma bastava osservare i volti dei loro avversari per capire che non c'era nulla, nulla di cui ridere. Non capivano, eppure era così ovvio.
A difendere il palazzo il corteo trovò un enorme specchio. Vedevano i loro stessi volti, i loro stessi vestiti, le medesime, raffazzonate armi. Era uno specchio vivente, uguale e contrario a loro, e avrebbero dovuto infrangerlo, per detronizzare finalmente il mostriciattolo.
E fu quello che fecero, dopo lo sconcerto iniziale. Troppa era la rabbia. Ma dopo pochi minuti lo scontro divenne caos. Gli schieramenti si mischiarono, nessuno riconobbe più alleati e nemici, e la sopravvivenza divenne l'unica priorità. Fucili e pistole sventagliavano alla cieca, e alla fine, in quell'indistinto bagno di sangue, i pochi superstiti si azzannarono a vicenda. Il vincitore alzò il fucile in segno di vittoria, ma non ricordava più nulla. Stava per andarsene quando le porte del palazzo si aprirono. Il padrone accolse il sopravvissuto con tutti gli onori, e non occorse nient'altro. Importava forse qualcosa il motivo che aveva spinto quell'uomo a combattere? Ora stava lì, al suo cospetto, dimentico del suo passato, pronto a servirlo come tutti gli altri, prima e dopo di lui. E chissà, forse un giorno sarebbe stato quel giovane battagliero a prendere il suo posto, ad indossare quella maschera che il popolo odiava ma di cui il popolo non riusciva fare a meno. Un giorno il padrone sarebbe morto, ma il popolo l'avrebbe fatto vivere in eterno.
Il padrone sorrise.
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