Che l’opera mondo di Marcel Proust, scritta tra il 1909 e il 1922, sia incentrata sulla memoria è cosa chiara fin dal titolo: come si può ricercare (e ritrovare) il tempo perduto se non affidandosi alla memoria? Ma l’idea di memoria che ha in mente Proust non può essere ridotta a un generico e nostalgico ricordo rievocato per ragioni pratiche o di intrattenimento nei momenti di noia. Anzi, ciò che viene coscientemente e volontariamente rievocato non interessa a Proust. Quel tipo di memoria, definita volontaria dallo scrittore, non è in grado di far rivivere le emozioni a cui il ricordo è legato, ma si limita a riproporle in una documentazione fredda, una radiografia funzionale a un’esigenza del presente. Ciò che interessa a Proust è la memoria involontaria, vale a dire quella che affiora improvvisa, quasi fosse un dono divino, stimolata da occasionali percezioni sensoriali. Celeberrimo è il brano della Madeleine inzuppata nel The o nell’infuso di tiglio. Così, un odore più o meno gradevole, un suono o un rumore, un oggetto al tatto o alla vista: ogni senso può aprire sentieri inaspettati che ci portano a rivivere emozioni del passato, arricchite dallo stupore per questo imprevisto viaggio a ritroso e dalla piena coscienza della miracolosa esperienza.
Sebbene la memoria volontaria sensoriale sia quella maggiormente evocativa, non è l’unico tipo di memoria indipendente dalla volontà della persona. Accanto ad essa, Proust individua altre forme in cui si manifesta la memoria involontaria. La prima è legata al sonno e al sogno, confusa e sfaccettata in ragione della natura da cui è generata, destinata a dissolversi al risveglio. Un’altra è legata all’ambiente, al clima e alla percezione che la pelle ha di essi e Proust la chiama memoria climaterica: vento, umidità, temperatura possono riportare alla luce la memoria di analoghe situazioni del passato. Se il tramite della pelle, nel recepire i dati climatici e stimolare la rielaborazione mnemonica, connota di maggiore fisicità questo tipo di memoria involontaria, ci si può trovare anche di fronte a una memoria corporale, muscolare, gestuale, evocata da gesti di routine o da movimenti imprevisti; una memoria dei ginocchi, delle vertebre, degli avambracci che ci porta attraverso azioni, gesti, movimenti a rivivere le annesse situazioni già vissute. E’ la memoria gestuale che porta Marcel a rivivere un altro tipo di memoria, quella affettiva, che riaffiora quando compie un gesto associato alla morte della nonna.
Un arcipelago della memoria, quello creato da Proust, che si apre ad analogie sorprendenti con le pressoché contemporanee ricerche psicoanalitiche di Freud e Jung, autori di cui Proust non conosceva le pubblicazioni. La Recherche appare come un corrispettivo artistico della psicoanalisi, capace di smontare le illusorie certezze dell’io e di mettere a nudo la fitta rete di relazioni sulle quali poggia il precario e plurivoco mondo interiore; un mondo che riemerge in una luminosa epifania solo grazie alle autonome memorie involontarie di ogni organo e di ogni senso.