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La trama (con parole mie): siamo sul finire degli anni sessanta in una cittadina dello Stato di New York, quando Frank Abagnale Jr, ad appena sedici anni, fugge di casa sconvolto per la separazione dei suoi genitori. Sfruttando un talento ed una prontezza di spirito fuori dal comune, il ragazzo viaggerà negli States e in tutto il mondo per quasi quattro anni, fingendosi un pilota di linea, un medico ed un avvocato, affinando l'abilità di emettere assegni fasulli arrivando a truffare il governo USA per una cifra superiore ai quattro milioni di dollari. Carl Hanratty, un agente dell'FBI al lavoro nella sezione antifrode, assume l'incarico di catturarlo, iniziando di fatto una sfida a due che renderà il loro rapporto più simile a quello che è mancato ad entrambi tra padre e figlio.
Questo post partecipa alla giornata della truffa organizzata dai cinefili della blogosfera per festeggiare il pesce d'aprile.
Steven Spielberg, uno dei registi simbolo del Cinema made in USA, responsabile, di fatto, di aver influenzato almeno una generazione di spettatori e cineasti, ha avuto fortune alterne - soprattutto ultimamente - qui al Saloon, passando dalle celebrazioni per classici intramontabili come Lo squalo alle bottigliate per i recenti War horse e Lincoln: da tempo, però, aspettavo l'occasione giusta per scrivere la mia a proposito di quello che ritengo sia il suo miglior lavoro, considerando gli ultimi quindici anni di produzione circa, Prova a prendermi.
Occasione giunta prontamente grazie a questo primo aprile festeggiato da noi cinefili della blogosfera.
Tratto dall'autobiografia del protagonista Frank Abagnale Jr, uno dei più dotati e talentuosi truffatori della Storia americana, e presentato con l'eleganza ed il ritmo dei classici anni cinquanta e sessanta - a partire dai fenomenali titoli di testa -, il lavoro del buon Steven è un esempio perfetto di tecnica e voglia di raccontare una storia, in grado di tirare fuori il meglio sia dal come sempre ottimo Leonardo Di Caprio che dall'altrettanto spesso e volentieri detestato Tom Hanks.
La cosa più interessante, però, di questo gioiellino, andando oltre al cast - curiose le presenze delle allora semisconosciute Amy Adams ed Ellen Pompeo -, la fotografia da manuale, la sceneggiatura ad orologeria, il ritmo trascinante, è legata alla "truffa" presente dietro l'ossatura dell'opera, mascherata da crime movie d'inseguimento quasi slapstick eppure legata ad una delle tematiche più care al sottoscritto: il rapporto tra padri e figli.
Dall'ammirazione che lega il giovanissimo Frank - un talento puro come ne nascono pochi ogni secolo, per quanto lo stesso fosse indirizzato, ai tempi delle vicende narrate, ad attività non propriamente legali - al padre - un Christopher Walken marginale, eppure straordinario - a quello che porta "l'uomo del cielo" a sviluppare un rapporto unico con il suo persecutore, agente dell'FBI ligio alle regole che, negli anni della loro sfida a distanza, porta sullo schermo tutte le difficoltà di una vita normale al confronto degli agi e dei lussi che si concede il rivale sfruttando le sue abilità: il loro primo faccia a faccia - con tanto di riferimento a Barry Allen, che un fumettaro come il sottoscritto colse alla prima visione - e le telefonate divenute rito della vigilia di natale assumono una valenza decisamente più profonda di quella che potrebbe apparire ad un'occhiata superficiale, e trovano il loro compimento nel faccia a faccia che precede la conclusione della pellicola nel tunnel dell'aeroporto e in quello che, di fatto, è l'incontro di due solitudini che, negli anni di inseguimenti e lotta tra loro, finiscono per ritrovarsi non più sole proprio grazie alla presenza dell'altra.
E la rivincita dell'uomo comune che finisce per mettere in scacco il genio in nome del sistema diviene veicolo di una rinascita dello stesso genio, che arriva a sfruttare la Legge che lo aveva messo in ginocchio finendo per ricevere un riconoscimento perfettamente entro i limiti della stessa, traformandolo in un riconoscimento anche economico delle sue abilità straordinarie: in questo senso, pare di assistere al passaggio di testimone tra due generazioni - e di nuovo si torna al rapporto tra padri e figli - e ad una delle lezioni più importanti che la cultura a stelle e strisce si preoccupa di trasmettere, legata alla meritocrazia e alla fiducia nelle proprie capacità e nella strada che le stesse possono lastricare per noi.
A prescindere, comunque, dalle apparenze e dai temi più o meno legati ai massimi sistemi, dalla tecnica e dalla messa in scena, la grandezza di Prova a prendermi sta tutta e principalmente nella passione espressa nel raccontare questa storia appassionante, divertente, drammatica, capace di portare da una parte e dall'altra della barricata e mostrare che, a volte, tenere aperti gli occhi e pronto il cervello può valere più di titoli e posizioni sociali.
Anche quando, a spiegare il mistero più grande, basta la risposta più semplice.
"Il genio è fantasia, colpo d'occhio, intuizione e velocità d'esecuzione", affermavano i cari, vecchi, Amici miei.
Credo proprio che Frank Abagnale Jr non potrebbe essere più d'accordo.
MrFord
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