Due figli: uno che fra poco compirà quattro anni e l'altro di quasi quattro mesi. Come parlano i bambini a queste diverse età? E come dialogano fra loro? E' divertente osservarli mentre provano a comunicare verbalmente. Il più grande è ormai capace di sorprendere anche gli adulti con l'ampio uso di congiuntivi di cui si serve nei suoi discorsi, pratica evidentemente non troppo diffusa fra le persone che ci girano intorno e che lo ascoltano parlare. Uno degli ultimi commenti da parte di un suo interlocutore è stato: "Dodokko usa un linguaggio troppo forbito, da adulto". Addirittura!E dire che fino a pochi mesi fa, periodicamente, mio figlio aveva presentato dei problemi di 'disfluenza', un fenomeno transitorio, normale e diffuso nei bambini attorno ai tre anni, simile alla balbuzie e dovuto a una sorta di ingolfamento dei pensieri nel momento in cui dovrebbero prendere voce. In pratica, sembra che il cervello, a questa età, sia capace di comporre pensieri complessi che però non è pronto a tradurre e a esprimere con frasi articolate. Si tratta insomma di due capacità che si sviluppano in modo distanziato fra loro e non contemporaneamente e l'atteggiamento consigliato ai genitori e agli ascoltatori in generale è di ignorare il fenomeno e attendere con pazienza che il bambino concluda la sua frase senza imbeccarlo, ma parlandogli a loro volta in maniera calma, scandendo bene, ma non in modo innaturale, le parole.Chiusa la parentesi 'disfluenza', Dodokko oggi parla con una buona proprietà di linguaggio, con un lessico ampio e usando bene i verbi. Il merito va sicuramente alle molte letture che abbiamo fatto insieme, ma credo che la sua capacità di esprimersi dipenda soprattutto dalla libertà di parola che ho sempre voluto lasciargli. A mio figlio ho sempre dato, anche quando era molto piccolo, la possibilità di dire la propria opinione, pur sapendo che per tanti genitori, così come per molti pediatri, l'opinione di un bambino di un anno non conta niente o quasi e che, anzi, non va sollecitata. Quante volte infatti mi sono sentito dire frasi come "a quell'età è inutile dare spiegazioni perché tanto non capisce, ma bisogna impartirgli un ordine e basta, senza concedere possibilità di replica". Invece, io ho sempre pensato che il dialogo, nel senso più stretto del termine, sia costruttivo e credo davvero di aver dialogato in passato perfino con i miei cani, il cui comportamento era spesso giudicato come troppo libero da molti commentatori di strada.Ma veniamo al più piccolo, a 'Polpetta', come il secondogenito è stato ribattezzato di recente dato che è un po' cicciottello. Lui ovviamente ha un suo modo di parlare che non adopera parole o frasi che si trovano nel dizionario. Fa più che altro versi, a volte urla o piange, altre ride, spesso ride e singhiozza contemporaneamente. Sono convinto che i quattro o cinque o dieci diversi versi che fa abbiano un significato, un riferimento a qualcosa di ben specifico, proprio come le parole. Magari un unico verso vuol dire più di una cosa, ma ciò di cui ho certezza è che non tutti i versi hanno il medesimo significato. Secondo me, un verso di un neonato è come un termine con più accezioni, ma che è differente da un altro termine che ha altre accezioni ancora. I versi dei neonati hanno molti ma non tutti i significati, mentre le parole hanno soltanto alcuni significati. Nella loro limitatezza di significati, le parole sono più precise. I versi invece, nella loro ricchezza di contenuti, sono da interpretare di volta in volta.
Detto questo riguardo al modo di parlare di Polpetta, ciò che ho notato ultimamente è che spesso fa un verso a cui si aspetta debba seguire una risposta. Quando al mattino inizia a chiacchierare, ogni volta che dice una sillaba attende che io controbatta o per lo meno che io gli faccia eco con la stessa sillaba. Trovo molto interessante e simpatico questo palleggio fra figlio e genitore in cui la palla è battuta dal primo, in cui il dialogo - di questo si tratta - ha origine proprio su iniziativa del figlio e da lui è stimolato.
Sono prove di dialogo, appunto, e servono a farsi le ossa per affrontare, domani, il mondo complesso e variegato del discorso. Dodokko - lo ricordo rivedendo i 'colloqui' di questi giorni con Polpetta - apprese la libertà di esprimersi, l'uso assolutamente non vincolato della parola, grazie a simili rimbalzi di parole. E oggi posso dire che ci sia addirittura qualcosa in più, rispetto a prima, nell'esperienza della nascita del dialogo. C'è il colloquio divertente fra Dodokko e Polpetta, nel quale il secondo da il la (nel doppio senso, che da l'avvio alla conversazione e che dice proprio la sillaba "la") al dialogo col fratello, mentre quest'ultimo, cercando di capire cosa il più piccolo voglia dirgli, fa ipotesi ad alta voce, propone soluzioni a possibili problemi più o meno enunciati, interviene con parole e azioni, risponde con sicurezza a istanze per lui evidenti e comprensibilissime.