Abolizione, riduzione, razionalizzazione, spending review. Sembrano essere, anzi sono, gli argomenti preferiti dei nostri governanti ahimè da qualche anno. In particolar modo il nostro Matteo ne fa una vera e propria questione di permanenza a Palazzo Chigi. “Se non mando a casa il Senato, andrò a casa io”, ha dichiarato baldanzoso questa mattina dal palco di Scalea, comune calabrese sciolto per infiltrazioni mafiose pochi mesi fa e tappa del suo tour tra le scuole italiane.
Intanto a Roma, proprio ieri, per soli quattro voti di scarto non veniva respinta la pregiudiziale di costituzionalità presentata dal M5S avverso il ddl “taglia-province” del factotum Graziano Delrio. Il provvedimento, già approvato dal Consiglio dei ministri e per la cui approvazione è stato richiesto oggi il voto di fiducia, oltre a rischiare di essere manifestamente incostituzionale, è avversato da molti parlamentari, e forse una ragione legittima c’è. Non è infatti l’ennesima alzata di scudi in difesa dello status quo, ma un monito che richiede qualche riflessione.
“Signori” come ci apostroferebbe Renzi, si tratta dell’ennesima presa in giro! Certo, in questi anni non ce ne manca l’esperienza, e questa è pur sempre di piccole dimensioni, ma proprio dall’ex sindaco non ce l’aspettavamo.
In realtà molti analisti hanno da tempo notato in lui una tendenziale e pericolosa predisposizione all’eccessiva semplificazione, che rischia strumentalmente di nascondere o quanto meno falsare la realtà.
Nessuna provincia, neanche la più piccola e recente scomparirà; bensì verranno tutte convertite in enti di secondo livello. Più che di “taglia-province”, Renzi dovrebbe parlare di “svuota – province”. I Consigli provinciali saranno infatti delle assemblee dei sindaci dei comuni appartenenti all’ex distretto provinciale con minime funzioni di pianificazione. Nei territori di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria verranno inoltre istituite le tanto attese quanto chiacchierate Città metropolitane, chiamate ad occuparsi di pianificazione strategica, servizi pubblici, viabilità, trasporti, sviluppo economico e prenderanno il posto delle rispettive province. In entrambi i casi non ci sarà più la Giunta e il presidente sarà un sindaco in carica eletto, con un sistema di voto ponderato, dall’Assemblea dei primi cittadini.
Lungi da me erigermi quale difensore degli sprechi e della spesa dello Stato. Per formazione e fede personale infatti sostengo da anni che all’Italia serva una drastica cura di riduzione netta della spesa pubblica e degli sprechi, anche a fronte di una oculata riduzione dei servizi. Quello che proprio non sopporto è che dietro ad un elefante si nasconda un topolino e che colui che doveva romper con il passato, usi gli stessi subdoli mezzi dei propri predecessori. Non sono un illuso, comprendo bene quanto la forma e l’immagine siano divenute ormai parte integrante della sostanza, ma non si può raccontare una cosa per farne un’altra. E soprattutto non lo può fare Renzi.
“Se domani passa la nostra proposta sulle province, tremila politici smetteranno di ricevere un’indennità dagli italiani”, twittava ieri sera il presidente del Consiglio. Ma perché si dimentica di dire che tutti i dipendenti delle amministrazioni provinciali svuotate verranno cooptati dalla regione, non potendo essere licenziati, e di conseguenza i loro stipendi adeguati al rialzo? Perché si dimentica di spiegare agli italiani come questo provvedimento disporrà per legge l’accumulo delle cariche (un progressista dovrebbe muoversi in senso opposto, o no?)?
Fin dalla loro istituzione nel ‘700 e costituzionalizzazione nel ’48, gli enti provinciali sono stati oggetto di critiche e dibattiti, ma da qualche anno e oggi in particolare sono lo specchietto per le allodole di un becero riformismo populista e strumentale che ci farà risparmiare qualche spicciolo a costo di una grave ferita al sistema democratico.
Se si vuole far rinascere il nostro Paese, se Renzi vuole cambiare verso all’Italia, deve avere il coraggio di non scendere a patti e per lo più mascherare scarne riforme da grandi conquiste. Vuole risparmiare, bene elimini le province, ma dalla Costituzione; faccia la legge elettorale, ma subito, e che non sia un “porcellinum”; diminuisca l’Irap, anzi la elimini, senza aumentare le accise sui carburanti. Il Paese ha bisogno di una scossa, è stufo dei tranelli.
Per questo abbiamo speranza in lui, se no ci tenevamo gli altri; ma che dico? Gli altri li ha mandati via lui, mica noi.