di Paolo Cardenà -
E’ aberrante e sconcertante dover constatare i contenuti del dibattito politico all’indomani del risultato elettorale. Un po’ da tutte le parti politiche, per bocca dei vari segretari o dei luogotenenti, si assiste al dilagare dell'ipocrisia nell'interpretazione degli esiti elettorali e tutti, seppur con alcune distinzioni,sembrano aver ottenuto la vittoria elettorale.
Senza il minimo ritegno e il rispetto dovuto per le tragedie che si stanno consumando in Italia – dall’attentato di Brindisi nel quale ha perso la vita un anima innocente, al terremoto in Emilia Romagna, fino ad arrivare al dramma di una nazione stretta da una crisi epocale-, si odono solo toni trionfalistici che tendono a nascondere e sovvertire la realtà dei fatti. Privi di dignità e di ogni sentimento di umiltà, parlano di una vittoria che non c’e e non c’e stata: proprio come se fosse una vittoria pirrica. Una vittoria che in realtà è una sconfitta. Anzi per meglio dire una disfatta: quella del popolo italiano. Il trionfo del nulla. Il nulla delle loro menti, delle loro idee, della loro visione politica e strategica della nazione. Del tutto incapaci di cogliere il significato del voto di protesta di una popolazione costretta ad orientare la preferenza elettorale tra POLITICI CLOWN e POLITICI COMICI. Una nazione ostaggio di qualche migliaio di uomini di partito arroccati a difesa dei propri privilegi e con la responsabilità, oltretutto e a loro totale carico, di non aver consentito neanche la formazione di una classe dirigente alternativa al loro fallimento. Una classe politica alla quale va addebitato il disastro che si sta consumando in Italia e che sarà consegnata alla Storia con il disonore derivante dalla catastrofe che sono stati capaci di commettere. Incapaci di rappresentare perfino loro stessi, se non nelle varie comparsate televisive nelle quali ci illuminano sul loro (non)pensiero: il nulla. Altrettanto incapaci di farsi interpreti delle necessità e dei bisogni di una nazione prossima al fallimento. Politici che occupano da decenni i massimi luoghi deputati alla formazione democratica del Paese e privi di principi nobili e aderenti all’interesse di una popolazione perfino usurpata della propria democrazia. Purtroppo non godo di una preparazione acuta di diritto costituzionale tale da consentirmi di esprimere un parere sulla legittimità del governo in carica , visto che rimane comunque un governo non eletto. Sarebbe tuttavia opportuno indagare e approfondire questo tema anche in considerazione del fatto che questo governo, non direttamente espressione delle volontà popolare, sta adottando provvedimenti che impatteranno sulla vita di ognuno di noi e su quella dei nostri figli per i prossimi 20 o 30 anni. Tuttavia, ammesso che esista una legittimazione a favore di questo esecutivo, ritengo che il difetto di democrazia si manifesti comunque in capo al parlamento poiché delegittimato dalla propria azione maldestra e di conseguenza ormai privo del consenso elettorale. Ne è testimonianza il risultato uscito dalla urne in occasione delle recenti elezioni amministrative. Come ho avuto modo di scrivere qualche giorno fa in un precedente articolo, i nostri politici avrebbero solo una strada da perseguire; ovvero quella di consegnare l’Italia al popolo italiano attraverso una riforma costituzionale che:
- dimezzi del numero dei Parlamentari;
- restituisca agli elettori il diritto di votare candidati capaci, onesti, leali e le cui nomine siano completamente svincolate dalle logiche di partito;
- che siano espressione delle più varie componenti sociali del paese (operai, impiegati, disoccupati, famiglie, imprese, pensionati, professionisti ecc.) e non solo rappresentativi in base a criteri di carattere regionale o circoscrizionale;
- elimini le province e accorpi i comuni più piccoli al fine di consentire la realizzazione di economie da ridistribuire a favore della collettività e dei redditi più bassi;
- visto il disastro di cui i nostri politici sono stati causa, inibisca questi, in via perpetua e irrevocabile, dalla possibilità di sedere sui luoghi deputati all’espressione democratica di ogni livello, e dala possibilità di ricoprire cariche politiche, pubbliche e amministrative.
Questa è una canzone scritta da Battiato nel 1991 e le denunce espresse allora sono ancora attuali.