Molti sostengono di non poterne fare a meno, altri nonostante la prescrizione medica decidono di non assumerli per paura di diventarne dipendenti. Cerchiamo di capire insieme pro e contro di queste sostanze.
Innanzitutto, cosa intendiamo con la parola psicofarmaci? Questo termine indica tutte le sostanze, prodotte sinteticamente in laboratorio, in grado di contribuire alla cura di disturbi quali ansia, depressione o sindromi psicotiche. Ho utilizzato l’espressione “contribuire alla cura” non a caso: infatti, gli psicofarmaci agiscono sul sistema nervoso in modo da stimolare o ridurre la produzione di alcuni neurotrasmettitori (sostanze che, in relazione al tipo di risposta prodotta si differenziano in eccitatori o inibitori) quindi è possibile riscontrare evidenti benefici sullo stato di salute dell’individuo. Queste sostanze però non sono in grado di modificare quegli atteggiamenti che ci indirizzano verso situazioni problematiche, né di fornire capacità di cui siamo sprovvisti.
Facciamo un esempio. Posso assumere un ansiolitico per affrontare un volo aereo che mi fa tanta paura ma il farmaco non mi consentirà di estinguere definitivamente la paura di volare, quindi dovrò ricorrervi tutte le volte che sarò costretta a salire su un aereo…o molto più semplicemente potrò decidere di non utilizzare questo mezzo di trasporto (con tutte le conseguenze connesse all’evitamento di una situazione considerata pericolosa). Il farmaco quindi si rivela utile nell’immediato ma non a lungo termine. E’ importante abbinarvi una psicoterapia che mi consenta di gestire l’ansia e di sentirmi libera di prendere un aereo. Stessa cosa dicasi per la depressione. Esistono delle forme piuttosto gravi in cui la persona perde qualsiasi interesse per se stessa e il mondo esterno nonché la motivazione a svolgere qualsiasi attività. Il farmaco può essere utilissimo per consentire al soggetto di tirarsi letteralmente fuori di casa e di iniziare un percorso psicologico.
Gli psicofarmaci non vanno dunque demonizzati ma considerati dei validi alleati cui ricorrere in situazioni di emergenza. Ma quanti tipi di psicofarmaci esistono? Possiamo distinguerli in categorie sulla base del disagio cui sono destinati:
- Ansiolitici, sostanze efficaci nel trattare stati d”ansia e d’angoscia. Tra questi annoveriamo il Valium, lo Xanax e il Tavor.
- Antidepressivi, farmaci utili nei disturbi dell’umore. Ricordiamo tra i più diffusi il Prozac e lo Seroxat.
- Antipsicotici, utilizzati nel trattamento della schizofrenia o quando il soggetto evidenzi deliri o allucinazioni.
Come dicevamo all’inizio, accanto ai “sostenitori” degli psicofarmaci, coloro cioè che vi ricorrerebbero senza alcun timore, esiste una fetta di popolazione che non li assumerebbe mai, nemmeno dietro prescrizione medica, per paura di diventarne dipendente.
Esiste davvero questo rischio? Prendiamo il caso degli ansiolitici. Essi agiscono in maniera molto rapida e si rivelano davvero efficaci: infatti, generano un’immediata sensazione di benessere. Il rischio è che proprio per questo motivo il soggetto vi faccia ricorso frequentemente. D’altronde perché intraprendere una psicoterapia se con una pillola o qualche goccia posso sentirmi meglio? Il problema è che nel tempo l’individuo strutturerà la convinzione di non poter più fare a meno del farmaco per affrontare le situazioni ansiogene e, a causa dell’assuefazione (il cervello si affida alla sostanza chimica che arriva dall’esterno e riduce la produzione del proprio ansiolitico naturale), sarà portato ad aumentarne il dosaggio. Il rischio di dipendenza dunque esiste ma poiché queste sostanze non sono equiparabili alle droghe, con un buon supporto medico è possibile ridurne le quantità in maniera graduale sino alla totale dismissione. E’ importante non interrompere l’assunzione in modo brusco perché questo potrebbe causare danni all’organismo.
Approfondiremo più avanti benefici e rischi connessi agli antidepressivi e agli antipsicotici. Adesso do a voi la parola. Avete mai assunto psicofarmaci? In caso negativo, li assumereste? Sarò lieta se vorrete condividere qui nel blog le vostre esperienze, dirette e indirette, o semplici considerazioni sull’argomento.
Fonte:
G. Nardone, Manuale di sopravvivenza per psico-pazienti, Tea Pratica, Milano 2006.