Psicologia dell’aggressione

Da Renzo Zambello

di: Dr. Alberto Longhi , Psicologo*

In questi brevi articoli approfondirò il tema dell’aggressione da un punto di vista psicologico. Prenderò in considerazione la psicologia dell’aggressore e della vittima. L’analisi di entrambi i punti di vista ci permetterà di capire come l’aggressione funziona, quali emozioni entrano in gioco, come gestirle e come prevenire un’aggressione.

PSICOLOGIA DELL’AGGRESSORE
“Aggressione per un parcheggio; aggressione in discoteca perché gay”; “brutale aggressione da parte di uomo conosciuto in internet”; “aggressione e rapina”; “aggressione e violenza sessuale di gruppo”… Pensa a quante volte hai sentito notizie del genere…
Tematiche di violenza e aggressione sono oggi di estrema attualità. Se ne parla molto spesso nelle cronache giornalistiche, in servizi specializzati e persino negli show televisivi. Potremmo chiederci che senso abbia un’informazione dove vengono riportati fatti riguardanti aggressioni, con tanto di dettagli spesso cruenti, senza entrare nel merito delle motivazioni che hanno portato all’atto, cioè senza spiegare come una persona è diventata aggressore e un’altra vittima. Ci si potrebbe anche chiedere quale sia “la morale” di tali cronache. Cosa impariamo ascoltando notizie di cronaca nera al telegiornale? Riflettici un momento… che cosa ti lascia una notizia di aggressione al telegiornale? Che cosa provi mentre la ascolti? E dopo averla ascoltata come ti senti?
Molto spesso, nonostante la ridondanza di queste notizie, proviamo rabbia e disgusto ascoltandole… quante volte abbiamo pronunciato frasi come “quello lì dovrebbero rinchiuderlo e gettare via la chiave!” o “per gente del genere il carcere non è abbastanza!”? …poi passiamo ad uno stato di indifferenza quando il TG propone il servizio successivo.
In realtà, si parla troppo poco di come un’aggressione nasce, si sviluppa, delle motivazioni che portano una persona ad aggredire un’altra e quest’ultima ad essere nelle condizioni di essere aggredita. Si parla poco (o non si parla) delle emozioni che permeano gli attori dell’aggressione e ancora meno si parla di prevenzione. Si riflette troppo poco su come l’aggressione funziona, da un punto di vista psicologico e relazionale.
In questo articolo, mi piacerebbe provare ad aprire un pensiero su questa tematica così attuale. Prima di tutto, che cos’è un’aggressione? Cosa rende un’aggressione tale?
Il dizionario risponde che aggredire significa “assalire con violenza”; “insultare”; “ingiuriare”; “inveire contro qualcuno”. Evidentemente, dunque, perché ci sia un’aggressione servono per lo meno due attori: un aggressore e una vittima. L’aggressore è colui che consapevolmente mette in atto un comportamento aggressivo, ossia un comportamento caratterizzato dalla specifica volontà di ledere l’altra persona, di farle del male. La vittima è colei che subisce l’atto aggressivo.
Ma come mai una persona dovrebbe aggredire un’altra persona? A questa domanda potremmo trovare infinite risposte, tante quante sono le aggressioni avvenute nella storia dell’uomo. Ciò che probabilmente accomuna le aggressioni è che una persona ha deciso, ha scelto (più o meno consapevolmente a seconda di variabili legate al contesto, come presenza di patologia psichiatrica o assunzione di sostanze) di fare del male ad un’altra persona. Quali emozioni pervadono l’aggressore? Aggressività, rabbia, odio, rancore… e forse tante altre emozioni dello spettro aggressivo, a seconda delle situazioni… la gelosia del marito che teme di essere tradito, l’invidia di chi ritiene che la persona che sta rapinando abbia avuto più di lei dalla vita, l’astio che un gruppo di hooligans prova per gli agenti della celere…
Tali emozioni non sono pensate dall’aggressore, sono semplicemente agite. In pratica, l’aggressore non è in grado di comprendere da dove nasca il suo stato di agitazione, di rabbia, né è in grado di gestirlo. Tutto ciò che sente di poter fare è agire, esprimere ciò che ha dentro.
Nel momento dell’aggressione, il marito geloso non ha più il sospetto che la moglie lo tradisca. Ne è convinto, vero o falso che sia. Nella sua mente, moglie ed amante si divertono alle sue spalle, forse persino deridendolo. Si sente tradito, ferito e umiliato. E prova una rabbia che non riesce a controllare. Odia sua moglie. In quel momento è la sua nemica. E allora, la tratta come tale, tentando di annientarla. Forse riuscendoci.
Tutti abbiamo sperimentato sentimenti di gelosia, di invidia, di rabbia. Tutti abbiamo pensato “io quella persona…l’ammazzerei”… o cose simili. Questo perché pensieri e sentimenti simili fanno parte della nostra natura di esseri umani. Ciò che ci differenzia dagli “aggressori” è che non traduciamo quei pensieri, quelle fantasie, in comportamenti. Forse i nostri “freni inibitori” funzionano meglio. O forse, a volte, aggrediamo anche noi, “limitandoci” a rispondere a tono o pungendo con sottili battute sarcastiche. Nulla di paragonabile ad un’aggressione fisica, certamente, ma l’intenzione di fare del male al “nemico” è presente.
Certamente, il caso del marito geloso è un caso specifico, che evoca particolari scenari e contesti dove l’aggressione può svilupparsi. Esistono molti altri contesti, che vedono gli attori dell’aggressione completamente sconosciuti. È il caso, per esempio, delle rapine o delle violenze sessuali perpetrate su donne in contesti extrafamiliari. Oppure, pensiamo alle aggressioni per questioni di parcheggio o che nascono a partire da incomprensioni in mezzo al traffico. A chi non è mai capitato di arrabbiarsi con un perfetto sconosciuto che in mezzo al traffico gli abbia tagliato la strada o gli abbia suonato indugiando “un po’troppo” sul clacson? La rabbia, che sperimentiamo tutti in questi contesti, è la benzina che porta potenziali aggressori a diventare aggressori a tutti gli effetti.
Certamente non tutti siamo potenziali aggressori. Probabilmente la maggior parte delle persone non aggredirà mai fisicamente qualcun altro. Ma tutti, con un po’di impegno, possiamo comprendere cosa sente un aggressore. Le stesse risposte che diamo quando sentiamo la notizia di un omicida o di un pedofilo, “bisognerebbe che facessero a lui la stessa cosa, così capirebbe”, sono espressione di quella medesima aggressività distruttiva che ha mosso il reo a compiere ciò che ha compiuto.
Scavando, si può certamente notare come alla base di quelle emozioni aggressive così intense vi siano forti sentimenti di vulnerabilità e di impotenza. Il marito geloso sente di non avere controllo sulla moglie e sulla sua relazione (anche se tutto lascerebbe pensare il contrario), si sente impotente di fronte ad una situazione che gli sfugge di mano e si ritiene egli stesso “vittima” dei due che “si divertono alle sue spalle”. Chi abbia provato sentimenti di gelosia conosce la paura e il dolore che evoca il pensiero di non essere amati dalla persona amata. Chi ha sperimentato quei sentimenti sa quanto si sta male.
Provare a “vestire i panni dell’aggressore” è un esercizio importante per capire il funzionamento psicologico di chi aggredisce. Ripensare a quella volta che “abbiamo perso la testa” o che “quella tal persona ci ha fatto così tanto arrabbiare” ci permette di cogliere cosa prova un aggressore. Un’ira cieca, un odio che può fare davvero male. Una rabbia che non conosce compromesso, né mediazione. Una rabbia che la persona che sta per aggredire non è in grado di controllare.
Questo è ciò che prova, che pervade l’aggressore… sentimenti arcaici, primitivi, non mentalizzabili. Entrare in relazione con una persona in questo stato inevitabilmente porta all’attivazione di circuiti cerebrali e di processi mentali altrettanto primitivi. Ciò significa sperimentare emozioni spesso diverse da quelle dell’aggressore, ma non meno intense. Emozioni che possono portare persone a diventare le vittime di un’aggressione…
Nel prossimo articolo descriverò il funzionamento psicologico della vittima, per meglio comprendere cosa rende una vittima tale e perché questa subisce l’aggressione, spesso in modo passivo, rinunciando a difendersi.

*Dr. Alberto Longhi, Psicologo
Vicolo Curtatone, 1 Busto Arsizio (Varese) Tel. 339 7306996

Commento del Dott. Zambello

Sono contento di pubblicare questo articolo inviatomi dal Collega Longhi di Busto Arsizio. Trovo che il tema sia sempre più “attuale”, basta leggere il giornale,  purtroppo tutti i giorni e ci accorgiamo di una aggressività che diventa violenza e che scoppia ovunque.  Il Dott. Longhi pone alcune ipotesi teoriche che presumibilmente svolgerà anche in seguito su altri lavori che mi ha già anticipato. Faremmo veramente bene a soffermaci un po’ a valutare anche dentro di noi questo tema che sembra sempre più attuale e pericoloso.  Personalmente penso che la questione non sia solo comportamentale, anche comportamentale ma soprattutto dinamica. Propongo solo di soffermaci a pensare  al tema del  sadismo e  masochismo. Siamo certi che le due categorie siano rigide e non invece intercambiabili?  Pensate ad esempio al film “Il portiere di notte” della Liliana Cavani o al “senso di colpa”, indelebile dei sopravissuti ai campi di concentramento. Spesso si legge che si sentivano in colpa perche loro erano sopravissuti mentre gli altri erano morti, forse ma, soprattutto perché si erano stati “attivi” nel gioco sadico-masochistico voluto dai tedeschi.

Ma, se il collega ce ne darà la possibilità ritorneremo su queste tematiche  che, credetemi, sono meno “folli” di quanto crediamo. Ce lo siamo detti più volte: tutti noi potremmo essere “i coniugi di Erba”. Li ricordate quei due poveretti che hanno distrutto una famiglia o,  la mamma di Cogne o, uno qualsiasi di quei disgraziati che hanno fatto la cronaca nera. Non lo siamo, non perché siamo più “bravi” ma perché funzionano meglio i nostri sistemi di difesa  che impediscono che questa “magma” che si muove dentro ognuno di noi, erutti fuori.

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