Pubblicare significa (soprattutto) attendere

Da Marcofre

La faccenda è abbastanza semplice, a ben guardare.

Se ci si rivolge a una struttura come Narcissus, la scelta di dove mettere in vendita il proprio ebook è facile. Basta mettere il segno di spunta accanto al nome dello store. Toglierlo (o non metterlo), perché non sia venduto presso quel rivenditore. Non c’è altro da fare.

Anche i paracarri sanno che non tutti gli store sono uguali. Non è possibile escludere Amazon, o iBookstore di Apple. Sono tra i più popolari (il primo soprattutto) ed essere assenti da questi è come non esserci. Ce ne sono poi altri quali Bookrepublic o Ultima, IBS o Feltrinelli, e altri ancora, sino ai più piccoli e marginali.

E dopo? Occorre (anche) attendere.

Nel mondo prima dell’ebook (quando c’era solo la carta e l’editore non immaginava che potesse un giorno esserci qualcuno che senza spendere un euro, vendeva il proprio libro senza passare da lui), entrava in azione il marketing. La pubblicità. Ma attenzione: non ha mai garantito nulla. Basta chiedere a chi ha lavorato o lavora in una casa editrice. Spendere e spandere, o spendere con criterio, garantisce visibilità, ma nient’altro. La storia è piena di casi letterari nati dal niente. O casi letterari nati già cadaveri.

Ma c’è una semplice legge sulla quale tutti, senza distinzione alcuna, sono abbastanza d’accordo.

Un testo senza alcuna cura, non può andare lontano.

Sarà un bellissimo libro per i parenti e gli amici che scriveranno recensioni lusinghiere (dove per lusinghiere si intende: recensioni infarcite di !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!). Come diceva Flanney O’Connor: se si scrive bene, prima o poi arriverà l’occasione. Che poi arrivi pure scrivendo male, dimostra solo l’esistenza di un vasto pubblico che ha perso la capacità di riconoscere la differenza tra una capra e il David di Michelangelo.

Ma è un problema del pubblico, e non ci si può fare nulla.


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