Si dice che la pubblicità non sia mai innovativa, perché deve colpire più gente possibile, quindi deve basarsi su messaggi molto semplici e condivisi dalla maggioranza, o almeno dalla maggioranza del suo target.
Anche per questo, quando l’omosessesualità ha cominciato a fare capolino nel mondo pubblicitario, ha fatto tanto scalpore. Vuol dire che, in un certo senso, è stata “sdoganata”.
A causa di questa ricerca di semplicità e immediatezza, non è inusuale che i comunicati pubblicitari si basino su stereotipi. Diciamo che in base a quali stereotipi scelga l’azienda, possiamo capire quali siano i sistemi di valore su cui si basa.
L’esempio proverbiale è “la famiglia del Mulino Bianco”: papà, mamma, figlio e figlia, che alle 7 del mattino sono già lavati, vestiti e sorridenti, tutti intorno al tavolo della colazione.
Adesso c’è invece una pubblicità basata su uno stereotipo che io considero in fondo simpatico e giocoso, quindi anche la pubblicità la trovo carina: che poi diciamocelo, in realtà non è uno stereotipo ma una verità universale. Appena gli uomini hanno due linee di febbre, si abbandonano sul divano in pigiama, senza farsi la doccia né la barba, e convocano al proprio capezzale il notaio per il testamento e il prete per l’estrema unzione.
Ma alcune pubblicità gli stereotipi li prendono per ribaltarli. Ad esempio, quelli sulla donna al volante.
Ne ricordo una di qualche anno fa, che purtroppo non sono riuscita a trovare, in cui una ragazza che deve parcheggiare in un posto minuscolo si fa beffe degli uomini che si fermano a guardare aspettandosi mezz’ora di manovre senza risultato, salendo sulla rampa di un carro attrezzi parcheggiato vicino e sfruttandola per scivolare dolcemente nel posto, perfettamente incastrata.
Oppure quella con Claudia Schiffer che manda al diavolo con stile il ragazzotto che suggerisce che non sia in grado di fare una ripida salita, anche se qui il merito non è suo ma della macchina.