Nel suo saggio Puer e Senex ( in edizione italiana nel volume Puer aeternus,Adelphi 1999), James Hillman analizza gli aspetti dell’archetipo junghiano del puer, ovvero della parte infantile della divinità: intelligente, amante degli scherzi, vivace e imprevedibile ma anche inafferrabile e distante, amato da tutti ma incapace di amare, dunque condannato- paradossalmente- alla solitudine.Le sue principali incarnazioni sono Ermes ed Eros (ma anche Narciso e Icaro). Il puer aeternus è, per definizione, fuori dal tempo, inalterabile, e non conosce il mutamento della discesa, cioè della crescita: è al di fuori dei confini del regno di Cronos, cioè di Saturno, il vecchio re malato e prossimo alla morte; eppure entrambi, secondo Hillman, danno vita ad un archetipo bifronte, in una sorta di coincidentia oppositorum la cui distinzione sarebbe esclusivamente frutto della nostra modalità conoscitiva critica (che non può fare a meno, cioè, di categorizzare e distinguere).
Sub specie archetypi proporremo dunque qui l’analisi di due notissime opere di Thomas Mann ed Henry James: Morte a Venezia e Giro di vite.
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In Morte a Venezia le polarità dell’archetipo puer/senex sono appunto rappresentate dai due personaggi Aschenbach e Tadzio.
Aschenbach, il senex, il professore colto e affermato, l’uomo che dovrebbe ormai essere maturo e distaccato dalle passioni e dalle illusioni, assolve solo all’apparenza gli obblighi e le costrizioni impostegli dal suo ruolo sociale; la sua natura di artista, una natura per definizione creativa, mostra una mancata introiezione di questi obblighi e dunque un loro inevitabile, sostanziale rifiuto.
Le caratteristiche del puer in Tadzio sono evidenti. L’ermafroditismo, la noncuranza, la gioia, ma anche, immotivate, la malinconia e il capriccio.
Tadzio si distingue dagli altri fratelli e sorelle, e per la sua singolare bellezza è oggetto dell’adorazione di tutti, eppure , anche in mezzo ai giochi e agli scherzi si percepisce il suo distacco, la sua scontentezza, forse la ricerca di altro. Ed è così che Tadzio inizia il gioco a distanza con il professor Aschenbach.
Tadzio (Bjorn Andrésen) e Aschenbach (Dick Bogarde) in Morte a Venezia di Luchino Visconti (1971)
Nel regno del Tempo, Aschenbach e Tadzio non possono parlarsi, perché Hermes è inquietato da Saturno e lo fugge;Aschenbach individua in Tadzio la polarità a cui vorrebbe ritornare; ma il senex è ormai entrato nel tempo, ovvero nel regno di Saturno, e il Tempo lavora su di lui plasmandolo e consumandolo inesorabilmente; perciò, il suo tentativo disperato di sottrarvisi (ricorrendo al trucco e al belletto, quegli stessi artifici che al suo arrivo a Venezia aveva tanto disprezzato nel laido volto di un vecchio) risulta tanto più patetico e grottesco. Solo nell’ultima immagine, dunque, il senex vede il puer che gli mostra l’orizzonte, ovvero significativamente il regno dell’eterno a cui egli sta per ritornare, ricomponendo la dualità. Nell’ultimo istante, come richiamato da un compito superiore, Tadzio improvvisamente impallidisce, diviene serio, quasi triste, e si allontana dall’allegra brigata dei suoi adoranti compagni di gioco pronto a trasformarsi, inconsapevolmente, in Hermes Psicopompo, ad indicare all’anima di Aschenbach la via del regno delle Ombre:
Tazio camminava di traverso giù in direzione del mare. [...]. Separato dalla terraferma da un largo specchio d’acqua, separato dai suoi compagni dal suo risentimento orgoglioso, figura appartatissima e isolata, i capelli svolazzanti, vagava laggiù fuori, nel mare, nel vento, davanti all’infinito nebuloso. Un paio di volte si fermò a guardare. E improvvisamente, quasi spinto da un ricordo, da un impulso, volse il busto, una mano sul fianco, mutando la sua posizione primitiva, e guardò oltre le spalle, verso la spiaggia. Lo spettatore era seduto là come un tempo, quando per la prima volta, lanciato da quella soglia, quello sguardo grigio crepuscolo aveva incontrato il suo. La testa, appoggiata allo schienale, aveva seguito, lenta, i movimenti di quello che laggiù camminava, poi si alzò, quasi a incontrare lo sguardo, e ricadde sul petto [...]. Lui però si sentiva come se il pallido e amato psicagogo là fuori gli sorridesse, lo chiamasse; come se, togliendo la mano dal fianco e additando un punto lontano, si librasse in avanti nell’immensità promessa. E, come già altre volte, si accinse a seguirlo. Passarono minuti prima che accorressero in aiuto dell’uomo caduto sul fianco, nella poltrona. Lo portarono in camera sua. E il giorno stesso, un mondo impressionato e deferente apprese la notizia della sua morte.
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Nel romanzo Giro di vite di Henry James, la presenza dell’archetipo si fa più complesso. Nei due fratelli Miles, e Flora, innanzitutto assistiamo ad una duplicazione del puer: non solo, infatti, il puer è accompagnato dal suo corrispondente femminile, la puella , che è già di per sé un archetipo doppio in quanto rimanda al mito di Kore -Persefone, ma manifesta qui il suo lato oscuro e meno innocente : Thanatos, che un’ antica versione del mito vuole fanciullo alato come Eros, ma dal cuore di ferro e dai visceri di bronzo. Non a caso, spesso le due iconografie si sovrappongono e rendono difficile l’identificazione:
Prassitele, Eros (o Thanatos) , copia di età antonina in marmo
Chi sono Miles e Flora? Due bambini reali, due fantasmi a loro volta, due piccoli demoni? Sono nel Tempo o fuori dal Tempo? Sono destinati a crescere e a cambiare o a rimanere eterni fanciulli? E da quanto tempo si ripete la vicenda dell’istitutrice che li (in)segue, cercando di trattenerli e pretendendo di proteggerli (ipocrisia è termine che ricorre più volte, consapevolmente, nel testo jamesiano)? Non sarà che il Giro di vite simboleggia, come nel mito, un eterno riabvvolgersi del tempo su se stesso?
Miles e Flora (Joseph Lindsay e Eva Sayer) nella versione di The Turn of The Screw di Tim Fywell realizzata per la BBC nel 2009
Miles e Flora sono due fanciulli apparentemente sereni e bellissimi, ma anche fortemente sensibili al richiamo del mondo infero, tramite Peter Quint, il diabolico servo personale dell’algido e inarrivabile zio dei fanciulli, e la signorina Jensen , l’antica istitutrice dei ragazzi. per raggiungere la signorina Jensen Flora deve prendere la barca e attraversare il lago-lo Stige, l’Acheronte, ma l’istitutrice Miss Giddens, Demetra, glielo impedisce con la forza- della disperazione.La metamorfosi di Kore in Persefone qui non avviene; dovrà essere la signora Grose (la donna anziana, Ecate) ,a portare via Flora (congelata nella sua eterna primavera infantile, salvandola da Miss Giddens, separandola per sempre da lei (che Flora non vuole più vedere) forse accompagnandola verso il suo destino nel regno infero.
Ancor più complesso, come si diceva, è il personaggio del piccolo Miles. Di straordinaria bellezza e intelligenza, il fanciullo divino rivela a tratti il lato oscuro di sé, il fanciullo nero (Thanatos); sarà egli stesso, parlando a Miss Giddens che vuole svelare il mistero, vuole sapere cosa il puer abbia a che fare con il regno dei morti,ad avvertirla della propria natura inumana (Io sono cattivo). Ma la rivelazione del segreto del puer è la distruzione del puer stesso; nel momento in cui l’istitutrice pretende che egli abbia coscienza di sé, e del Male a cui Peter Quint lo ha iniziato e che rivela inequivocabilmente la misteriosa causa della sua espulsione dal collegio come un comportamento immorale nei confronti dei compagni) egli è strappato dalla sua dimensione eterna di innocenza e non può che morirle tra le braccia.
<i> Il mio viso doveva avergli rivelato che gli credevo pienamente; eppure le mie mani (per pura tenerezza) lo scuotevano come per chiedergli perché, se non c’era nulla, mi aveva condannata a quei mesi di tormento. «Allora, che cosa hai fatto?»Con una vaga espressione di dolore alzò lo sguardo al soffitto, e respirò a fondo due o tre volte, quasi con difficoltà. Lo si sarebbe potuto dire in fondo al mare, mentre levava gli occhi a qualche lontano crepuscolo verde. «Be’… ho detto certe cose.»
«Soltanto questo?»
«Hanno pensato che bastasse!»
«Per buttarti fuori?»
Mai, certamente, persona «buttata fuori» si mostrò meno prodiga di spiegazioni di quello strano ometto! Sembrava soppesare la mia domanda, ma in modo completamente distaccato, e quasi smarrito.
«Be’, suppongo che non avrei dovuto.»
«Ma a chi le hai dette?»
Evidentemente cercava di ricordare, ma non vi riuscì… era un ricordo perduto. «Non lo so!»
Giunse quasi a sorridermi, nella desolazione della propria disfatta, che era già così completa, ormai, che avrei dovuto fermarmi a quel punto. Ma ero come ubriaca, accecata dalla vittoria, benché persino allora la conseguenza di quest’ultima, anziché avvicinarmelo, non facesse altro che accentuare il nostro distacco. «Le hai dette a tutti?» chiesi.
«No, soltanto a…» ma scosse il capo con aria stanca. «Non ricordo i loro nomi.»
«Erano così tanti?»
«No… pochi. Quelli che mi piacevano.»
Quelli che gli piacevano? Mi pareva di librarmi non nella luce, ma in un’oscurità più fonda, e un momento dopo dalla mia stessa pietà era scaturito l’agghiacciante allarme che egli potesse magari essere innocente. Per un attimo l’enigma rimase confuso e insondabile, perché se egli era innocente, che ero io dunque? Paralizzata, sin tanto che durò, dal semplice presentarsi di quella domanda, allentai la stretta, sicché, con un sospiro profondo, si allontanò di nuovo da me: cosa che, mentre volgeva il viso alla finestra vuota, tollerai, sentendo che là ormai non c’era più nulla da cui dovessi difenderlo.
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NOTE
* Per l’integrazione e il confronto del mito del puer con quello della puella :http://www.ilcerchiodellaluna.it/central_Simboli_puer.htm
** Devo la scoperta della citata versione televisiva di The Turn of The Screw al blog Piccolo sogno antico della scrittrice Francesca Diotallevi, da cui sono tratte le relative immagini.