Magazine Cultura
A Salve cremazioni del III millennio a.C.
di Antonella Lippo
Dimostrerebbero l’esistenza di rapporti antichissimi tra il Salento e la costa dalmata. Sono di fronte alla marina di Pescoluse
Nel Salento del III millennio a.C., di fronte alla splendida marina di Pescoluse, si insediarono comunità eneolitiche che costruirono monumenti fatti di terra e pietre, utilizzati come luogo di culto e di sepolture. Una campagna archeologica condotta dal 2005, sotto la direzione scientifica di Elettra Ingravallo, docente di Paletnologia presso l'Università del Salento, ha portato alla luce alcune interessanti scoperte nel territorio di Salve, documentate in una mostra didattica nel palazzo Ramirez del centro del Capo di Leuca.
«L’elemento più significativo -sottolinea la studiosa- è che prima di Salve in tutto il Salento, la consuetudine funeraria più diffusa era quella che prevedeva che i luoghi di sepoltura fossero le grotte, naturali o artificiali, basti pensare a Grotta Cappuccini. Da questi scavi emerge il cambiamento. Coesistono altre consuetudini, che evidentemente non presupponevano una diversa visione dell’aldilà, quanto semmai un diverso modo per arrivarci».
La peculiarità di Salve è l’attestazione del rito incineratorio e, infatti, all'interno di alcuni tumuli erano posti vasi contenenti resti umani bruciati. Prima di questa scoperta si riteneva che l’uso di cremare i defunti si fosse diffuso nel Sud Italia nel II millennio avanzato e, ancora, non si immaginava che la cremazione potesse convivere con l’inumazione. La diffusione di questi tumuli deriverebbe dalla costa dalmata, il che inserisce il Salento in un circuito transadriatico lungo il quale transitano diversi contesti culturali. Nel più grande dei nove tumuli indagati è stata ritrovata una cassa litica con i resti di 38 inumati e tre vasi con gli incinerati. Tra i reperti del corredo sono stati rinvenuti boccali, tazze, scodelle, ornamenti in osso e conchiglia (vaghi di collana, pendagli e una placchetta), un frammento di corallo grigio, strumenti in ossidiana e selce, tra cui una punta di freccia. In altri due tumuli sono stati rinvenuti rispettivamente tre vasi impilati, che rispettano un rituale di non chiara lettura. Accanto sono state scoperte anche alcune brocchette rotte intenzionalmente secondo un rito, che questa volta è ampiamente attestato nelle consuetudini funerarie del III millennio a.C.
In uno dei tumuli i resti umani rinvenuti appartenevano a tre adulti, un giovane e un bimbo; nell’altro sono stati recuperati i resti appartenuti ad una donna e ad un bambino. «Per il prossimo anno - annuncia Ingravallo proseguirà la campagna di ricognizione in tutta l’area. Siamo convinti infatti che potrebbero essere scoperte situazioni analoghe nel territorio adiacente e tutto ciò sarebbe un unicum per il Sud. Ne potrebbe nascere, in prospettiva un parco archeologico, con il coinvolgimento di Comune, Soprintendenza e Università. Intanto nella mostra sono presentati copie dei reperti, un ricco apparato di pannelli didattici e un video.
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