Puno è una città piuttosto deludente ed insignificante. La parte boliviana del Titicaca è molto meglio, per cui consiglio di privilegiarla, e poi, valicato il confine peruviano, fermarsi quel tanto che basta per vedere il sito di Sillustani e le isole galleggianti, che mancano dall’altro lato della frontiera, o meglio, ci sono, ma sono usate soltanto per allevamento ittico e non sono abitate.
Come struttura la città è molto simile a La Paz, una colata di edifici grezzi color mattone che inonda a cascata le rive del lago, lontana anni luce dalle atmosfere bucoliche di Copacabana e Isla del Sol.
Arrivo a Puno appunto da Copacabana, Bolivia. Parto alle 9 del mattino con bus della Titicaca Tours (30 BOB). Il passaggio alla frontiera scorre liscio come l’olio, nessun problema, basta fare attenzione alle targhe e salire sul medesimo bus da cui si è scesi. Sono seduta accanto ad uno spagnolo che bazzica spesso da queste parti, mi intrattiene con una conferenza sui danni del colonialismo perpetrato dai suoi connazionali nell’era post colombiana. 9 milioni di vittime fra Messico, Perù e Bolivia, 6 milioni in questi ultimi, un olocausto su cui nessuno ha mai pensato di produrre pellicole, forse è passato troppo tempo?
Giunti al bus terminal, con 5 PEN in taxi si raggiunge la Plaza de Armas, la cattedrale è chiusa e non riesco a visitarla. Una guida turistica che dice di lavorare per Avventure nel mondo mi si incolla cercando di vendermi l’impossibile, gentilmente declino le sue offerte spiegando che sono benissimo in grado di arrangiarmi anche da sola. Perlustro il centro alla ricerca di una pensione economica, che non trovo. Nella via pedonale piena di agenzie, negozi e ristoranti visito un ostello che vuole 20 PEN per una camera allucinante, e senza bagno. Per il resto, sono alberghi con prezzi in dollari. Ovunque, nelle reception, a disposizione di chi ne senta il bisogno ci sono foglie di coca e termos di acqua calda. Dall’ufficio turistico mi indirizzano in Calle Cajamarca, dove finalmente trovo il Tumi Inn II 30 PEN. Poso i bagagli e mi fiondo in strada, sono le 13, devo mangiare e trovare qualcuno che mi porti a Sillustani, non raggiungibile coi mezzi. Le proposte delle agenzie sono una clone dell’altra, stessi prezzi, 35 PEN, stessa ora di partenza, 14.00. Scelgo a caso.
Il tempo non è granchè, vento freddo e nuvoloni color Islanda.
Appena arrivati a Sillustani inizia anche a piovere. Indosso piumino e sopra una mantellina tipo cerata da pescatore. Molti hanno freddo. Il sito in sé è molto interessante, affacciato sul lago Umayo. Avevo visto riprese splendide in tv, riflessi di cirri candidi sulle acque increspate, oggi purtroppo è tutto incolore.
Si tratta di un luogo cimiteriale preincaico, le tombe, a forma di torre, alcune incomplete altre depredate custodiscono resti dell’élite locale dei Qolla, una popolazione aymarà.
Al rientro ci fermiamo presso una famiglia locale, che ci illustra usi e costumi quotidiani, ed in cambio vende qualche manufatto.
Un microcosmo recintato da un muretto, camelidi locali pascolano legati ad un mattone. Molto simpatico, e morbidissimo, il guanaco. La sua lana è la più pregiata e costosa fra quelle prodotte sulle Ande. La consistenza è simile al miglior cashmere, il prezzo pure. Mi sembrava che fossero molto difficili da addomesticare, invece questo è mansueto.
Altri animali all’interno, caviette (cuy) in una gabbia da conigli, e proprio come i conigli da noi in questa parte di mondo forniscono proteine, che non ho assaggiato, non perché impressionata ma perché nei ristoranti economici non la propongono. Ho letto che le loro interiora vengono scrutate dagli indovini per predire il futuro, mah…
Cena al Restaurante Hacienda, menù turistico fra i meno cari, 18 PEN, allietata da un’orchestrina locale che si cimenta in canzoni tipiche.
Il giorno seguente, visito le isole galleggianti. Non è assolutamente necessario appoggiarsi ad una agenzia. Basta prendere in discesa una delle vie centrali ed arrivare al porto. Si attraversa anche un interessantissimo mercato di frutta e verdura, frequentato da gente del posto. Giornata tetra anche oggi, dopo il sole accecante della Bolivia tutto sembra strano, monocorda. I Peruviani di questa zona prendono in giro i loro dirimpettai perché sono più poveri, e meno organizzati. Criticano tanto, ma poi chi può la spesa la va a fare a Copacabana per risparmiare. A parte questi dettagli, da quando sono qui il tempo fa schifo, mentre abbiamo avuto due settimane di sole in Bolivia, qui le rive del lago sono sporche e l’acqua melmosa, mentre di là la situazione era molto migliore..
Il traghetto per Uros Chulluni costa 10 PEN, più altri 8 all’approdo, come tassa. Durante la navigazione le nubi si diradano un po’, il lago è solcato da imbarcazioni, bambini che vanno a scuola, e poi chi si muove per le incombenze quotidiane. Ci sono anche curiose imbarcazioni simili a gondole, costruite con la totora, utilizzata anche per le case e pavimentazioni.
Queste comunità riescono a mantenere le loro tradizioni soltanto grazie al turismo, unica alternativa smontare tutto e trasferirsi a Puno. Camminare su questi fascioni di canne produce un curioso scricchiolio.
Le popolazioni locali vendono manufatti, mi sento in dovere di comprare qualcosa senza neanche contrattare soltanto per volontà di permettere loro di resistere alla modernità, tramandare le loro usanze, vivere nella maniera in cui vogliono, penso sia un loro diritto. In nome della civiltà e del progresso si sta smantellando ogni cosa.
L’atmosfera è serena, visi sorridenti, denti candidi, gote rosse dal freddo, costumi vivaci, colori accesi. I bambini mi sembrano ben tenuti, sono contenta di dare il mio contributo, accetto persino di fare un giro in gondola, 7 PEN, che traghetta me e parte del gruppo su un’altra isola, più grande ed incasinata, dove hanno fatto persino un bar.
All’ora di pranzo rientro sulla terraferma, e mi concedo l’almuerzo meno costoso del Perù, minestrone di riso, puré di patate, carne al sugo e ancora riso, in una specie di comedor molto semplice, il Restaurante Los Salarios, sulla Avenida Titicaca. Arriva addirittura una comitiva che festeggia un matrimonio, solo i parenti stretti e gli sposi, si vede che sono poveri, eppure sfoggiano una grande eleganza, le loro giacche e cravatte stonano un po’ con l’ambiente. Sarei curiosa, ma non parlano spagnolo..
Acquisto in centro una SIM Movistar per parlare a casa con Lorenzo, e poi 3 PEN in un bar elegante del centro per un thè, stesso prezzo quasi del pranzo…
Due parole sulla Tumi Inn II, tanto carina era la signora che ci ha accolto ieri all’arrivo, quanto antipatico il tizio che invece è di turno oggi.
Stamattina a colazione voleva rifilarmi gli avanzi di un altro, ed ora pretende dei soldi per la custodia bagagli, al mio rifiuto mi dice di arrangiarmi a chiamare un taxi, che non è compito suo.
Le stanze sono semplici, ma almeno non fredde, l’acqua calda ci mette una vita ad arrivare, per 30 PEN non credo si possa pretendere l’Hilton..
Nessun problema a reperire un taxi in strada, e raggiungere il terminal terrestre. Il bus Julsa (40 PEN per un posto cama, biglietto comprato ieri al banco) per Arequipa parte in orario alle 18, ed arriva con 15 ore di ritardo, ma questa è un’altra storia, che racconto qui…http://randagianelmondo.altervista.org/arequipa/ tanto per incuriosire ed invogliare ad approfondire : bloccati tutta la notte al freddo per via del ghiaccio, a più di 4000 mt di altezza…