Il resto della SN 1604, l’ultima supernova esplosa nella galassia e avvistata da Terra.
Calcoli alla mano, è praticamente sicuro. Secondo un gruppo di astronomi della Ohio State University, la probabilità che nei prossimi 50 anni una supernova esploda nella nostra galassia e si renda visibile da Terra sfiora il 100 per cento. Ci sono arrivati partendo dal numero di stelle presenti nella nostra galassia, applicando simulazioni al computer basate su quanto sappiamo dei processi di invecchiamento delle stelle e della dinamica dell’esplosione di una supernova, e tenendo in conto quello che è forse il principale problema che rende così difficile osservarle: il fatto che la polvere presente nella regione centrale della via Lattea offusca la luce visibile proveniente dalle stelle in quelle regioni, riducendone la luminosità di quasi un milione di miliardi prima che arrivi a noi.
La luce infrarossa, tuttavia, è meno influenzata da questo processo e viene bloccata solo di un fattore venti. Per questo, Christopher Kochanek e Scott Adams, autori dello studio pubblicato su The Astrophysical Journal, hanno concluso che chi osserva il cielo in luce infrarossa potrà vedere almeno una supernova entro i prossimi 50 anni. La cosa sarebbe di enorme interesse scientifico. Di supernove esplose in altre galassie ne abbiamo osservate parecchie, negli ultimi decenni. Ma la quantità di informazioni che si possono raccogliere su un processo così distante è per forza di cose limitata. Osservare una supernova nella nostra galassia, potendone seguire tutte le fasi, sarebbe l’unico modo di convalidare definitivamente o correggere i modelli teorici che attualmente descrivono questo processo, per esempio misurando con precisione come cambia l’emissione di energia della supernova in tutte le fasi dell’esplosione.
Lo studio dice che quell’osservazione si potrà fare in tempi brevi, non a occhio nudo né con telescopi ottici ma nell’infrarosso. A patto, naturalmente, di sapere in tempo dove cercare. E qui la chiave sono i neutrini, perché da quello che sappiamo una supernova inizia a sparare nello spazio neutrini non appena inizia l’esplosione, ma diventa luminosa in luce infrarossa e visibile solo alcuni minuti, ore o addirittura giorni dopo. I rivelatori per neutrini presenti nel mondo, come Super Kamiokande in Giappone o gli esperimenti presenti al laboratorio del Gran Sasso in Italia, dovranno essere in grado di allertare per tempo gli strumenti che funzionano nell’infrarosso (come Keck e VLT a terra, o Spitzer in orbita). Il problema è che i neutrini che attraversano i rivelatori possono provenire da diverse sorgenti, inclusi il Sole o lo stesso nucleo terrestre. Come distinguere con certezza quelli provenienti da una supernova appena esplosa?
Sulla carta un criterio c’è: l”emissione di neutrini proveniente da una supernova dovrebbe (secondo le teorie) essere costituita da treni di neutrini a pochi secondi di distanza uno dall’altro. Ma occasionali scariche elettriche nel rivelatore possono produrre lo stesso effetto e confondere gli scienziati. Per risolvere il problema, gli autori dello studio propongono di arricchire gli attuali esperimenti sul neutrino con un particolare tipo di rivelatore chiamato EGADS (Evaluating Gadolinium’s Action on Detector Systems). Questi rivelatori sono costituiti da taniche d’acqua arricchite da piccole quantità di gadolinio, un elemento chimico in grado di assorbire neutroni e rimettere energia dopo averli assorbiti. Ogni neutrino che interagisce con un atomo nell’acqua causa l’emissione di un neutrone e di una certa quantità di energia. Il neutrone verrebbe poi assorbito dal gadolinio causando una seconda emissione di energia a brevissima distanza, in sostanza una sorta di ripetitore. In questo modo, ogni vera detection di un neutrino si tradurrebbe in due segnali a brevissima distanza e non uno solo, riducendo drammaticamente la quantità di falsi allarmi. Gli esperimenti sui prototipi di EGADS stanno andando bene, spiegano gli autori, e il team di Super Kamiokande potrebbe aggiungere questo rivelatore all’esperimento già dal 2016.
“Con appena uno o due di questi eventi ogni secolo, le probabilità di vedere una supernova nella Via Lattea sono basse, ma sarebbe una tragedia perderla. Questo lavoro ha lo scopo di aumentare le probabilità di farsi trovare pronti all’appuntamento scientifico di una vita” spiega John Beacom, un altro degli autori.
Le prospettive per chi spera di vedere una supernova a occhio nudo dal balcone di casa, invece, sono molto meno rosee: la probabilità di veder ripetersi nel prossimo mezzo secolo un evento come quello del 1604, quando una supernova divenne rapidamente la stella più brillante del cielo e rimase visibile per 18 mesi, sono nell’ordine del 5 per cento.
Fonte: Media INAF | Scritto da Nicola Nosengo