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Può una ‘via della seta marittima’ cinese essere in grado di stemperare le tensioni in Asia?

Creato il 09 giugno 2014 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Può una ‘via della seta marittima’ cinese essere in grado di stemperare le tensioni in Asia?

Il tour asiatico del presidente Obama dello scorso Aprile ha avuto come scopo quello di rammentare alla Cina che non le sarà possibile vincere la battaglia per la conquista del sostegno all’interno della regione, fintantoché essa seguiterà ad assumere una posizione intransigente rispetto alle rivendicazioni sulla sovranità di alcune isole.

Molti, sia in Cina che nel resto della regione, guardano alla dibattuta Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) tra la Cina e i paesi dell’ASEAN+6 come uno sforzo cinese per indirizzare l’agenda regionale verso obiettivi più tenui. Pechino potrebbe inoltre trarre vantaggio dall’istituzione della RCEP per contrapporsi alla Trans Pacific Partnership guidata dagli USA.

Eppure, il vantaggio che la Cina trarrebbe nel raggiungere uno di questi obiettivi sarebbe nulla in confronto al beneficio che deriverebbe dalla realizzazione del sogno del Presidente Xi Jinping, quello cioè di far rivivere la ‘via della seta marittima’, proposito che aveva espresso nel corso della sua visita in Malesia e in Indonesia nell’Ottobre 2013. Questo itinerario dovrebbe basarsi su alcuni punti di forza ben collaudati per quanto riguarda la produzione condivisa in Asia Orientale. Esso consentirebbe anche alle comunità cinesi all’estero di ottenere un ruolo maggiore nel forgiare relazioni al fine di ridurre le tensioni regionali.

Il movimento di beni lungo la via della seta marittima ha una storia di oltre due millenni, che ha raggiunto il suo apice nel XV secolo, quando il leggendario esploratore Zheng He condusse una flotta dalla Cina attraverso il Sud-est asiatico e l’Asia Meridionale verso il Golfo Persico. Oggi, alcuni di questi stessi corridoi favoriscono l’esistenza di una rete unica di condivisione della produzione dell’Asia orientale, che fa muovere i componenti attraverso tutta la regione verso la Cina, per poi assemblarli e spedirli in Europa e Nord America.

La rete di produzione consente a tutti i paesi, indipendentemente dalla loro estensione e grado di sofisticazione tecnologica, di beneficiare di una profonda specializzazione e di economie di scala attraverso la produzione di parti e componenti, e di aggiungere valore alla produzione nel corso dello svolgimento della catena produttiva. Con il costo del lavoro in Cina oggi in aumento, molte economie dell’area ASEAN avrebbero da guadagnare da una qualsiasi futura esternalizzazione della produzione. Questo, combinato con i deficit commerciali che la Cina detiene con la maggior parte dei suoi vicini asiatici (in contrasto con il persistente surplus con l’Occidente), fa sì che i paesi ASEAN vedano la Cina più come un’opportunità, piuttosto che come una minaccia.

Slittamenti all’interno del modello relativo ai movimenti di capitale possono anche avere effetti sui rapporti economici, nel momento in cui la Cina si appresta a trasformarsi da gran assorbitore di fondi a importante fornitore di investimenti diretti e di flussi di investimento di portafoglio. I disavanzi commerciali strutturali cinesi in Asia Orientale rendono anche più facile la promozione del RMB come valuta regionale per stabilire i saldi commerciali. Questo a sua volta favorirebbe l’internazionalizzazione del RMB.

La nuova via della seta fornisce un’opportunità per Pechino di incrementare il ruolo svolto dalla diaspora cinese nell’area del Sud-Est asiatico. Circa 32 milioni dei 50 milioni di cinesi che vivono all’estero risiedono nel Sud-Est asiatico. Essi rappresentano una fetta considerevole della ricchezza in diversi paesi dell’ASEAN, e giocano un ruolo chiave nella rete di produzione, i cui vari aspetti vengono coordinati da Hong Kong, Singapore e Taiwan.

Durante la fase di apertura della Cina, quando il quadro giuridico per la protezione degli investimenti esteri non era ancora ben sviluppato, i cinesi d’oltremare incidevano per ben due terzi dei flussi di IDE in Cina. Essi sono stati in grado di sfruttare la propria identità, la comprensione delle norme culturali e le reti personali per mitigare alcuni dei rischi insiti che gli stranieri non cinesi si trovavano a dover affrontare. Questo stesso gruppo potrebbe svolgere un ruolo inverso nel facilitare gli investimenti esteri della Cina nel Sud-Est asiatico, contribuendo allo sviluppo dei porti principali, all’outsourcing della produzione industriale, approfondendo i rapporti bancari e ampliando i canali di distribuzione.

I cinesi d’oltremare continuano a mostrare una duratura connessione culturale con la Cina, nonostante il processo di assimilazione e naturalizzazione nei paesi stranieri ospitanti. Essi sono però passati attraverso complessi cambiamenti storici e politici che hanno complicato le relazioni tra la Cina e i paesi ospitanti, nonché tra le altre comunità sociali all’interno di questi paesi. L’influenza dei cinesi d’oltremare sulla politica estera costituisce materia di vario interesse, ma finora vi sono pochi elementi che suggeriscano che la diaspora abbia svolto un ruolo particolarmente attivo in tal senso.

Se si intende modificare questa situazione, ci sono una serie di ostacoli che devono essere affrontati con grande attenzione. Il sentimento di diffidenza diffuso tra molti paesi dell’ASEAN nei confronti della Cina sarà probabilmente il fattore che limiterà l’efficacia delle strategie adottate, che sottendono palesemente alla realizzazione di ulteriori obiettivi nell’ambito della politica estera. La maggior parte dei cinesi d’oltremare non condivide un legame con la Cina al di là degli interessi puramente economici. Altre popolazioni locali in tutto il Sud-Est asiatico restano concentrate su come un maggiore impegno con la Cina potrà sfociare in un beneficio diretto per loro stessi. Questi sentimenti si esprimono in forma più estrema in paesi come il Vietnam e le Filippine, ma sono presenti in vari gradi anche in Malesia, Indonesia e Thailandia.

La sfida si sta allargando ad una gamma più ampia di comunità al di là della diaspora cinese. Ciò significa inevitabilmente che tutte le iniziative importanti dovrebbero essere intraprese sotto l’egida di un modello di relazioni di carattere government-to-government, che fornirebbero un quadro rassicurante e incoraggerebbero i contatti informali con i cinesi d’oltremare, sia a livello di imprese che individuale.

Interazioni più inclusive che vadano oltre le comunità della diaspora potrebbero contribuire a moderare le tensioni regionali relative a dispute territoriali e questioni storiche. La credibilità di questi approcci aumenterebbe significativamente se la Cina e gli altri paesi coinvolti raggiungessero un accordo sullo sfruttamento congiunto delle risorse marittime contese e mettessero da parte le rispettive rivendicazioni di sovranità. Ciò contribuirebbe a garantire che la creazione di una nuova via della seta marittima abbia esiti maggiormente positivi nella politica estera, aiutando inoltre la Cina nel raggiungimento degli altri obiettivi della sua diplomazia economica.

(Traduzione dall’inglese di Priscilla Inzerilli)


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