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Le donne e la camorra, un argomento scottante, su cui si è scritto e detto tantissimo e secondo diversi punti di vista. Donne che sono state vittime dell’antistato o veri e propri capi, che hanno preso in mano le redini degli “affari”. Oppure entrambe le cose.
Di certo se si decide di affrontare una questione tanto complessa quanto scottante, si deve avere in mente un obiettivo. Cosa si vuole dire? Quale messaggio deve passare attraverso la storia? In che modo si sceglie di raccontare?
Su questo punto la fiction interpretata da Manuela Arcuri deve migliorare. Mi spiego meglio: la vicenda è liberamente e parzialmente tratta dalla vita di Assunta Maresca e questo ha suscitato polemiche. Raccontare o tacere? E’ giusto parlare della vita di una donna legata alla camorra?
Andiamo per gradi ed usciamo fuori, per un momento, dall’ambito di questa fiction; non c’è nulla di male nel raccontare le vicende di antieroi o di personaggi totalmente negativi. Si conosce il mondo non solo scoprendone il bene, ma anche il male.
Si può imparare attraverso gli aspetti positivi, ma anche negativi della vita. Dobbiamo essere preparati, per esempio, a vedere film su Madre Teresa di Calcutta, ma anche su Hitler ed il ragionamento alla base è lo stesso: nel primo caso conosciamo l’esistenza di un simbolo positivo, un grande personaggio storico che ha lasciato molti insegnamenti in eredità al mondo. Nel secondo caso facciamo una conoscenza “in negativo”. Come a dire: “Guardate ciò che non deve più succedere”.
Il bene ed il male, da questo punto di vista solo complementari e formano il tutto che dobbiamo conoscere per sapere da che parte andare. Nella fiction “Pupetta. Il Coraggio e la Passione” la questione è più complicata.
Si è scelta la via di mezzo, raccontando e romanzando, facendo della protagonista una sorta di eroina all’inizio del tutto positiva che, per sopravvivere ed ottenere giustizia, inizia ad usare la stessa strategia e le stesse armi dei suoi nemici, che li “combatte” dall’interno. La letteratura è piena di personaggi simili, ma la domanda è: cosa si voleva raccontare? La vita di Assunta Maresca o di un’altra donna che non esiste? In questa fiction c’è l’eco di Pupetta, ma non c’è Pupetta.
Mi si obietterà che era proprio ciò che volevano i produttori e gli sceneggiatori, solo accostarsi alla sua vita ma non penetrarvi. Vi rispondo anche che non c’è nulla di strano nel far ciò e, anzi, è già stato fatto. Tutto dipende dal “come” e dal “perché”.
Ho l’impressione che in questo caso non si sia voluto osare abbastanza. Si prevedevano le polemiche, certo, ma come non ricordare fiction quali “Il Capo dei Capi” in cui un pezzo di storia mafiosa era narrato in tutt’altro tono, con tutt’altro vigore che in Pupetta, invece, manca?
Gli ottimi spunti, che sono disseminati in tutta la fiction, non sono stati utilizzati e “lavorati”bene. Il prodotto finale è un ibrido che non ha una “personalità” completa. Peccato, perché “Pupetta” non è una fiction da buttar via.
Nonostante una sceneggiatura inadeguata e debole in alcuni punti, l’uso del dialetto napoletano non sempre corretto, (lo “stacco” tra i veri napoletani, reali parlanti di questo splendido dialetto e coloro che lo hanno imparato per queste riprese, era fin troppo evidente) ed alcuni personaggi che potevano essere caratterizzati meglio.
Per quanto riguarda la recitazione, quasi tutto il cast poteva dare di più, Manuela Arcuri per prima. Bisognava mostrare delle “facce” non dei bei volti, mimica non semplici espressioni. Si doveva sentire l’essenza della napoletanità, ci voleva più passione.
Sembra che sia già in programma un seguito della fiction. Forse tutti i punti deboli verranno rafforzati. Lo spero.
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