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Pupi Avati, Stephen King e una zampa di scimmia

Da Postscriptum

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Cosa hanno in comune un regista italiano di successo, il re indiscusso dell’horror e un racconto inglese di inizio novecento? In teoria poco ma nella pratica molto, specie se la pratica coincide con lo spaventare a morte la gente.

Solo i più informati sapranno che Pupi Avati ha firmato parecchi film horror di livello e ancora meno saranno quelli che conoscono la storia della zampa di scimmia scritta da W.W.Jacobs nel lontano 1902, in tanti invece avranno sentito parlare o letto Pet Sematary dell’eterno Stephen King. Per chi invece fosse all’oscuro di tutto non vi rimane che arrivare fino alla fine di questo post per colmare la lacuna.

Muovendosi nel territorio dell’horror è abbastanza semplice passare da un classico a una stronzata con la facilità con la quale si alza o si abbassa la tavoletta del proprio water, ti puoi ritrovare in pochi attimi da un capolavoro come La notte dei morti viventi di Romero (anno 1968) a stupidaggini post-moderne in stile Japan-Horror come The Ring e similari. La credenza supponente che per spaventare sia necessario far schizzare sangue e pezzettini di corpi umani in ogni dove, nel tempo, non ha fatto altro che imbastardire il genere insieme a sottogeneri dal discutibile impatto visivo come lo splatter, per citare quello più conosciuto.

Sarò insopportabilmente cinico ma sono convinto che quella di spaventare sia un’arte chirurgica che oscilla tra la semplice suggestione e un terrore calcolato che una volta suscitato diventa incontrollabile; saper spaventare vuol dire giocare con le paure più profonde dell’animo umano e tirarle fuori dal nascondiglio in cui sono state imprigionate mostrandole così, nude e crude come sono in tutta la loro terrificante magnificenza.

Per questo ho sempre considerato un maestro Stephen King, un autore che riesce a costruire una storia spaventevole intorno al più piccolo dettaglio dell’esperienza umana. Peccato che spesso la trasposizione cinematografica abbia rovinato i suoi lavori migliori.
Peccato che Pupi Avati non abbia messo mano al materiale di King.

Nel 1983 Avati firma Zeder, un horror cult molto particolare e ben fatto, come solo un maestro cinematografaro sa fare.
Il film racconta la storia del giovane scrittore in erba Stefano e di un esperimento di pseudo-scienza basato sugli studi di un certo Paulo Zeder, scienziato sui generis che nel XIX secolo ha ipotizzato l’esistenza dei terreni K: questi terreni, per una strana combinazione di sostanze chimiche, permetterebbero ai defunti ivi sepolti di tornare in vita ma, con le ovvie conseguenze del caso, questo potrebbe non rivelarsi esattamente un vantaggio.

Quali sono queste conseguenze?

In realtà Zeder è molto più di un film, è un ponte di collegamento tra uno dei più celebri e terrificanti racconti horror del primo novecento e uno dei classici di Stephen King. Pet Semetery, appunto.
Il filo comune tra il racconto di Jacobs, il film di Avati e il romanzo di King è rappresentato proprio dall’indagine psicologica, morale e in qualche modo scientifico-religiosa sulle conseguenze di voler rompere i limiti imposti da Madre Natura all’esperienza umana: per capire questo concetto occorre spoilerare un pò, quindi occhio.

Pupi Avati, Stephen King e una zampa di scimmia

Nel 1902 il romanziere inglese William Wymark Jacobs pubblica la storia di una fantomatica zampa di scimmia che permetterebbe al suo possessore di vedere realizzati tre desideri: il problema è che il prezzo da pagare per vedere realizzato ogni desiderio supera di molto il valore del desiderio stesso. I coniugi White sono molto scettici riguardo al simpatico oggetto donato loro da un amico di famiglia, così decidono di metterlo alla prova chiedendo 200 sterline per riparare la casa. Il giorno dopo il denaro arriva, purtroppo però come risarcimento per la morte sul lavoro del figlio della coppia. La signora White, sconvolta, dopo giorni e giorni di dolore decide di usare il secondo desiderio per far tornare in vita il figlio. Per fortuna il marito si accorge del tremendo errore non appena “la cosa” richiamata dalla morte comincia a bussare alla porta, e così con il terzo desiderio egli rimettere tutto a posto. Si fa per dire.

In Pet Sematery Stephen King si spinge oltre e prova a immaginare cosa succederebbe se per il dolore della perdita non si capisca subito l’errore che si sta commettendo e l’orrore che ci si sta attirando addosso. Louis, padre di famiglia tormentato dai fantasmi del passato e ossessionato dalla morte del figlioletto poco più che neonato, cede alla tentazione di usare il cimitero indiano di cui gli ha parlato il vicino di casa; così disseppellisce la salma del figlio e lo va a inumare nel terreno maledetto scatenando una serie di infausti eventi che non sto qui a spoilerarvi. Leggete il romanzo.

In mezzo alle due storie ci sta proprio Zeder: in questo caso l’orrore si fa business sulla pelle del giovane Stefano che pagherà carissimo il prezzo della propria poca lungimiranza.

Pupi Avati, Stephen King e una zampa di scimmia

Il concetto è semplice: la morte non la si può ingannare senza accettarne le conseguenze, siano esse uno zombi che si ciberà di voi stessi oppure una cosa che bussa insistentemente alla vostra porta.

State alla larga da cimiteri indiani, terreni K o zampe di scimmia, mi raccomando!!


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