Dopo i dati di alcuni dei principali editori di quotidiani di ieri è oggi la volta dei pure players, delle testate d’informazione italiane senza una corrispondente versione cartacea.
Claudio Plazzotta, per «Italia Oggi», ha raccolto i bilanci 2013 di «Linkiesta», News 3.0 [«Lettera43»], «Il Post», Società Editrice Multimediale [«Blitz Quotidiano»] ed «Huffington Post Italia».
Ad un anno di distanza dalla precedente elaborazione, relativa ai dati del 2012, la situazione nella sostanza è cambiata davvero di poco e, in alcuni casi è addirittura peggiorata.
«L’Huffington Post Italia» nel suo primo anno di vita — lancio settembre 2012 — produce meno di un milione di euro di ricavi ed altrettanti di perdite nonostante sia “ospitato” permanetemente all’interno della home page di Repubblica.it.
«Linkiesta» non decolla e sprofonda sempre più nel rosso con voci ricorrenti di messa in liquidazione della società ed ennesima ricapitalizzazione a cura di un numero di soci di gran lunga inferiore agli attuali.
Anche le altre testate all digital, ad eccezione di «Dagospia» per il quale però siamo fermi ai dati 2012, pur crescendo nei ricavi, che restano decisamente modesti, il rosso in bilancio è, ahimè, la regola.
C’è sicuramente un problema di branding in un Paese, il nostro, in cui l’informazione online in Italia è dominata dallo strapotere del duopolio di Repubblica — Corsera.
C’è anche un problema di posizionamento delle testate che, ad eccezione de «Linkiesta» che però si è ritagliata una nicchia troppo ridotta, più che competere con i media tradizionali, come avviene anche in Gran Bretagna, sono loro alleate. Non hanno posizionamento e contenuti chiaramente distintivi se non marginalmente.
C’è, ancora, un problema di modello di business. È evidente che sperare di sopravvivere solo attraverso la raccolta pubblicitaria non è ragionevole. I conti lo dimostrano chiaramente.
Amen!

Dati x ‘000 di euro
