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All’ottavo piano di un elegante edificio di Postdamer Platz, vista sul Reichstag, c’è uno dei centri di controllo (e di potere) internazionali del Cremlino. Sulla targhetta fuori della porta c’è solo un nome, nessuna insegna istituzionale, tuttavia tutti conoscono il vero ruolo di Ivan Rodionov. È suo quel nome.
Il gabinetto berlinese di Mosca - dategli qualsiasi delle due accezioni - è un avamposto di propaganda: dietro al quarantanovenne giornalista, a capo della news agency Ruptly, c’è un mondo. La diffusione delle gesta putiniane, le critiche all’Occidente, la difesa della legittimità alla reazione del popolo ucraino contro la “rivolta nazifascista” - sì, è pura narrazione, dunque inversione dei ruoli. Sembra un portavoce del Cremlino, Rodionov. Invece dirige un team di 110 persone provenienti da Spagna, Gran Bretagna, Polonia e Russia, che coprono la redazione giorno e notte: da lì, poi, partono le agenzie syndicated dai media internazionali. Non a caso, insieme alle narrazioni sulla potenza dell’Orso, non mancano video su Nick Griffin, radicale di destra inglese, o il suo omologo tedesco Olaf Rose (ideologo del Partito nazionale democratico), che sputano sull’Europa.
Mosca, inutile dirlo, sovvenziona Rodionov. La battaglia ucraina, la Russia la sta vincendo più che sull’infiltrazione di spie e forze speciali, sulla diffusione mediatica delle vicende. «Una guerra di propaganda implacabile», l’ha definita Andrew Weiss, vice presidente di studi presso il Carnegie Endowment for International Peace.
La Russia guarda al lungo termine, sfuggendo alle circostanze presenti: 100 milioni di euro investiti ogni anno in media russi all'estero, raccontano la chiara strategia di porsi alternativa all'Occidente. Dimostrazioni della tesi arrivano da Rt (Russia Today), proprietaria di Ruptly, che a nove anni dalla sua creazione è seconda solo alla Bbc per visualizzazioni di video su Youtube (1,2 miliardi), 2500 dipendenti, trasmissioni in inglese, spagnolo e arabo.
Ma c’è altro oltre a Ruptly e RT; altro che passa molto meno dentro l’obiettivo delle telecamere, ma che arriva ad essere quasi più potente. Dagli invitati ai talk show, ai commenti sui social network o sotto alle notizie sulle pagine dei quotidiani online, tutto rientra in un ampio piano di propaganda reso particolarmente esplicito dall’evolversi della crisi ucraina: non c'è giornalista che si occupa della questione, che non abbia ricevuto almeno una mail con “notizie esclusive” che testimoniano il ruolo dei nazisti dietro le proteste.
Non basta? Allora ci mettono le mani direttamente i servizi segreti, facendosi fonte per i giornalisti filo-russi: dal “Fuck the Eu” della Nuland alle parole del ministro degli Esteri estone sui cecchini di Kiev, ogni frase interecettata (e sono tante!), può essere utile per servire gli interessi russi. Per capirci, sono state le agenzie russe a diffondere la notizia della visita del capo della Cia Brennan a Kiev, un paio di mesi fa.
Il gioco è semplice: sposare il sentimento anti-americano, declinato in anti-occidentale, che serpeggia in vari scenari europei, sostenendo per esempio che mercenari mandati da Washington stanno spingendo le proteste nelle aree orientali dell’Ucraina. Da notare che tutto è detto senza la minima prova, contrariamente a quelle più volte dimostrate della presenza di uomini connessi con il Cremlino (gli ultimi, avvistati questa settimana, quelli del “Vostok Battalion”, ceceni dalla pessima nomina, fedeli a Putin).
L'attività in fondo funziona: in varie manifestazioni, europee e non, si cominciano a vedere cartelli con su scritto “Stop ai nazisti in Ucraina”, segno evidente che la narrativa di Mosca si sta diffondendo.
Ma lo scopo di questa incessante propaganda, non è semplicemente quello di trasformare europei e americani in fan di Putin: l’obiettivo principale è rendere la sua presidenza inossidabile in patria. Il grande successo della macchina costruita dal Cremlino, sta nel fatto che attualmente la stragrande maggioranza dei russi crede che dietro alla crisi in Ucraina ci siano i nazisti: l'evocazione degli spettri della Seconda Guerra Mondiale, ha funzionato al punto che in terra russa, la popolarità di Putin è schizzata alle stelle. Un aiuto, poi, è arrivato anche dall'atteggiamento nei confronti di Internet: blog pubblicati ad hoc, attacchi anonimi ai critici, controllo sui social network e sulle pubblicazioni online.
In un Paese dove il 94% della popolazione acquisisce informazioni dalle tv di Stato, diventa ancora più facile veicolari il consenso. Qualche giorno fa, durante il tg della sera è stato trasmesso un video forte, d’impatto: si trattava della presumibile uccisione di un filo-russo per mano dei nazionalisti ucraini, ma in realtà le immagini risalivano ad un anno e mezzo fa, e riprendevano combattenti nel Caucaso del Nord.
Levada, agenzia di sondaggi indipendente russa - in piedi solo perché ancora il Cremlino non ha deciso di chiuderla con qualche espediente - racconta di come l’opinione pubblica sulla crisi ucraina è cambiata nel corso degli ultimi mesi. Allo scoppio delle protese dell'autunno scorso, solo il 30% dei russi credeva che la volontà del presidente Yanucovich di firmare accordi commerciali con l'Ue, potesse rappresentare un “tradimento dell'unità slava”. A febbraio - il culmine delle rivolte a Maidan - il 73% definiva la situazione come una “questione interna” all’Ucraina. Adesso, dopo pochi mesi, il 58% dei russi sarebbe favorevole all’annessione (“con le buone o con le cattive”) delle regioni di Donestk e Lugansk.
A distanza di qualche mese, lo strambo piano del presidente russo sull'annessione della Crimea comincia a concretizzarsi: unire il suo popolo in un grande sentimento collettivo “russo”, altroché le rotte del gas. Nel novembre del 2103 il 53% dei russi non lo avrebbero rieletto, adesso l’86% è disposto a votarlo nuovamente - e sempre più - in Europa e nel mondo, flirtano con le sue visioni, rappresentandolo come esempio di leader da seguire.
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