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Q: Ma Che Rumore Fa un Romanzo Storico?

Creato il 09 luglio 2015 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Q: Ma Che Rumore Fa un Romanzo Storico?

Un movimento eterogeneo e globale per convogliare al suo interno istanze anarchiche, destrutturaliste, terroriste (comunicazionalmente parlando) non può evitare nel suo cammino molte incertezze e qualche inciampo, come è accaduto nello specifico al collettivo che si nasconde dietro il nome vagamente esoterico di Luther Blissett. È innegabile però che il sostrato ideologico che sta dietro a questa innovativa forma di antagonismo 2.0 ha contribuito a svernare alcuni approcci verso la nascente digitalizzazione di massa. Applicando ed estremizzando alcuni degli studi accademici del secondo dopoguerra più avanguardisti, infatti, questo "centro sociale telematico" dall'identità multipla si è divertito a fornire nuovi modi di lotta contro il sistema.

Con una trasversalità ipermoderna, Luther Blissett ha scelto anche di attraversare a suo modo il vetusto mondo letterario. L'esordio nella narrativa tradizionale avviene nel 1999, sotto i tipi della prestigiosa Einaudi, con il romanzo storico Q. Si rammentavano agli inizi della recensione gli inevitabili passi falsi di un cammino che prevede nel suo statuto la multidimensionalità dei suoi contributori. Non tutte le tracimazioni, d'altronde, sono fertili e in questo caso la millenaria storia del medium ha sortito effetti paralizzanti nei confronti degli arrembanti oppositori al senso comune.

Sembra che con Q a Luther Blissett importi principalmente ostentare il vessillo del copyleft, essere cioè colui che per primo è riuscito a imporre "il consenso alla riproduzione totale o parziale dell'opera per via telematica" per scopi non commerciali a una grande casa editrice come Einaudi. Di tutta la teologia critica e la teleologia narrativa gravitante attorno al progetto eversivo massmediatico di Luther Blissett, agglutinate con fatica nel corso di un'intensa attività crossmediale, rimane ben poco. Le uniche modernità a livello stilistico di cui si serve sono quelle ormai più canonizzate come l'uso di uno stile paratattico o il grande dispendio di turpiloquio, messo in bocca con irriverenza (anch'essa déjà vu) a profeti religiosi. Per il resto, Q si insinua abbastanza supinamente nella tendenza della rilettura postmodernista della storia e del romanzo storico ad esso inerente: interpreta pezzi di un recente passato secondo le lenti deformanti del presente per cercare nuove chiavi di lettura di un oggi pericolosamente vicino alla distopia.

Così anche la scelta di ambientare il libro nel Cinquecento delle lotte religiose non è altro che il tentativo di fornire un "manuale di sopravvivenza" (parole dello stesso Luther Blissett) agli odierni antagonisti che si battono contro la vulgata neocapitalista. L'autore vuole suggerire che le divisioni dei movimenti di lotta si perpetuano sempre uguali nelle loro modalità e che basta una vicenda che abbia i caratteri riassuntivi del mito ad illuminarli una volta per tutte. Su questa volontà fin troppo didattica di creare a tutti i costi un retroterra culturale ai vari movimenti che si battono contro l'iniquo status quo si veda l'onesta retromarcia compiuta da Luther Blissett qualche anno dopo. La "tecnicizzazione del mito" porta ad esiti degni del mostro di Frankenstein. Il tentativo di voler rintracciare nel passato degli strappi religiosi all'interno della cristianità, anche a costo di sovrainterpretarlo, le istanze egualitarie porta ad esiti nel migliore dei casi faziosi.

Per tutti questi motivi il romanzo Q finisce a funzionare meglio come trattato di storia quando indaga sulle vere ragioni ideologiche dei luterani, dei cattolici e degli anabattisti ma fallisce dal punto di vista letterario quando si abbandona ad un certo vittimismo complottista. Qoèlet e il protagonista dai multipli nomi (evidente spunto autobiografico) intessono una lotta a distanza che vede il secondo sempre perdente a causa dell'appoggio dei potentati cristiani e papisti che comandano il primo. Carafa assume nel corso della narrazione connotati quasi metafisici, a giudicare dalla rete di spie e contatti che riesce a tessere con spregiudicatezza indifferente all'umano scorrere del tempo. Una semplificazione, quella dell'uomo solo al comando di tutto, che porta inevitabilmente il romanzo a scialacquare gli spunti della prima parte in una seconda più piatta e senza colpi di scena. Il gusto del racconto classico, fatto di approfondimento attento dei personaggi e spiegazione chiara delle vicende (checché ne dica l'autore, la struttura temporale del romanzo è codificata da almeno due secoli), rende Q facilmente digeribile dal grande pubblico.

Una critica fatta a ragione a questo esordio letterario del collettivo bolognese è stata conseguentemente quella di aver optato con troppa convinzione per la reiterazione dei topoi di maggior impatto sui lettori. E allora risulta quantomeno posticcio l'atteggiamento polemico mostrato a più riprese nelle interviste. Se scrivi un romanzo alla Umberto Eco non dispiacerti se la stampa pigrona crede che dietro al tuo esordio si nasconda la penna dello scrittore alessandrino; se scrivi per una casa editrice come l'Einaudi un romanzo con tutti i crismi dello Strega non ostentare ribellione proclamando la falsità del premio quando vi vieni candidato. In fondo, una delle paure più incistate nell'immaginario underground è quella di essere assorbiti, senza nemmeno accorgersene, dal mondo generalista. Ecco, Q corre il rischio consapevolmente e inderogabilmente ne viene risucchiato. Il vero dramma e tangenzialmente la vera riuscita del romanzo di Luther Blissett è proprio questo: voler surrettiziamente fornire una nuova strada all'immaginario classico e riuscire in questo suo anelito.


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