Povero Qenhirkhepshef. Oltre ad avere un nome impronunciabile, non dovette essere una persona molto simpatica. Anzi, possiamo affermare, e con una certa sicurezza, che non fu molto amato dai suoi colleghi.
Rovine di Deir el-Medina
Visse durante la XIX dinastia e fu una persona abbastanza importante, uno “scriba della tomba reale” attivo a Deir el-Medina. Il fatto che questo sito sia spesso indicato come “villaggio operario” non deve infatti trarre in inganno. Il piccolo insediamento, in realtà, ospitò alcuni tra i migliori artigiani, artisti e intellettuali dell’epoca. La cittadella era stata costruita per ospitare gli addetti alla costruzione delle tombe regali, una responsabilità importante che non poteva di certo essere affidata ai primi venuti. E gli abitanti di Deir el-Medina furono sicuramente degli artisti fuori dal comune: chiunque abbia avuto la fortuna di visitare la Valle dei Re non è mai rimasto indifferente alle spettacolari tombe scavate nella roccia e alle loro splendide decorazioni, che non a caso, sono oggi annoverate tra i più importanti patrimoni artistici dell’umanità.Scribi che annotano le offerte di cibo consegnate
Qenhirkhepshef, dunque, era bravo, ma, come si diceva all’inizio, anche molto antipatico. Le fonti al riguardo sono chiarissime, inchiodandolo senza scampo. Abbiamo, ad esempio, una lettera inviatagli da un pittore di nome Parahotep, un suo sottoposto che, nonostante la posizione subordinata, non risparmia al nostro scriba insulti e sottili offese. Qenhirkhepshef, a onor del vero, le sue colpe le aveva: costringeva Parahotep e gli altri artigiani a fare gli straordinari per lavorare alla costruzione della sua tomba e fu coinvolto in almeno due casi di corruzione. Tuttavia, sono i dettagli più piccoli e apparentemente insignificanti quelli che ci restituiscono il quadro più vivido della sua impopolarità. Ad esempio, è noto che gli abitanti di Deir el-Medina fossero soliti raffigurare o riportare i nomi dei propri superiori nelle loro sepolture. Non possiamo sapere fino a che punto ciò fosse frutto di affetto sincero o di calcolata ruffianeria, ma una cosa è sicura: Qenhirkhepshef non è mai ritratto in nessuna delle tombe dei suoi sottoposti e viene citato solo in una di esse. Di contro, invece, sono numerosissimi i graffiti che riportano il suo nome sulle rocce della montagna tebana. Ovviamente, fu lo stesso Qenhirkhepshef a inciderli e diversi studiosi hanno voluto vedere in ciò una prova della grande vanità dello scriba che, evidentemente, non perdeva mai occasione di lasciare una traccia di sé nei luoghi in cui si recava per lavoro.Lo scriba Nespaqashuty
Diversi indizi lasciano intendere che avesse veramente un brutto carattere. Sono state rinvenute alcune sue lettere inviate ai visir Khay e Pinehas, e la totale assenza delle usuali formule di cortesia ha dell’eccezionale, soprattutto per un contesto storico-culturale in cui scrivere e seguire le convenzioni formali erano quasi la stessa cosa. Si tratta di un elemento che testimonia l’indole decisamente “particolare” di Qenhirkhepshef, al quale, tuttavia, va almeno riconosciuto il merito di non essere stato solo un subdolo prevaricatore degli individui di rango inferiore. Antipatico sì, ma con coerenza, Qenhirkhepshef non faceva differenze tra i più potenti uomini del paese e i suoi subordinati: tutti erano ugualmente travolti della suo atteggiamento sdegnoso e arrogante. Quella del visir, infatti, era una delle più prestigiose cariche dello stato egizio.Eppure il nostro scriba qualche pregio doveva pur averlo. Sappiamo che ebbe una moglie, Naunakht; era molto più giovane di lui, ma per quei tempi era una cosa abbastanza normale. La donna, probabilmente, provò un affetto sincero per il consorte: rimasta vedova e risposatasi, decise di imporre il nome di Qenhirkhepshef al primogenito avuto col nuovo marito, un gesto interpretabile come un atto di stima nei confronti del precedente compagno defunto. Forse quell’uomo burbero e prepotente possedette anche un lato tenero, ma solo la sposa e pochissimi altri ebbero modo di apprezzarlo. Un affetto molto forte lo legò anche al maestro, lo scriba Ramose, che venerò come un padre.
Paletta di scriba egiziano
Il merito più grande di Qenhirkhepshef, tuttavia, fu quello di essere stato un accanito lettore. Se un simile passatempo, ai giorni nostri, in cui basta un clic per ordinare un libro, è considerato una lodevole abitudine, all’epoca del nostro scriba fu, in realtà, un hobby piuttosto faticoso e impegnativo; nel caso in cui si desiderasse un certo testo, infatti, era necessario armarsi di papiro e stiletto e andarselo a ricopiare. Qenhirkhepshef fu un copista instancabile e la sua splendida calligrafia testimonia ancora oggi una mano elegante, impeccabile e sicura. Nel corso della sua vita riuscì a collezionare una discreta quantità di papiri, una vera e propria biblioteca personale. I suoi interessi erano vari, andavano dalle liriche d’amore alla pratica dell’interpretazione dei sogni.Se alcune di queste opere sono giunte fino a noi, è stato anche merito suo. La collezione di papiri dello scriba più antipatico delle Due Terre ha infatti restituito diverse opere della letteratura egizia che altrimenti avremmo in parte o del tutto ignorato. Sarà pur stato un arrogante testardo, ma la sua passione per la lettura non può che nobilitarne la memoria, almeno agli occhi di noi moderni. Grazie Qenhirkhepshef. Renata Schiavo
Bibliografia:
B.G. DAVIES, Who’s Who at Deir el-Medina: a Prosopographic Study of the Royal Workmen’s Community, 1999 Leiden.
A. G. PEDEN, The Graffiti of Pharaonic Egypt: Scope and Roles of Informal Writing, 2001 Oxford.
E. LEOSPO - M. TOSI, Vivere nell’Antico Egitto: Deir el-Medina e il Villaggio degli Artefici delle Tombe dei Re, 1998 Firenze.