Resoconto del Quadrangle Film Festival, un evento per documentaristi a Kent (UK) iniziato il 6 settembre e terminato l’8.
I marshmallow: soffice dolciume statunitense simile a un batuffolo di cotone levigato. Resi celebri da innumerevoli scene di film e telefilm americani in cui giuovincelli, oppure padre e figlio li cuociono su un fuoco acceso all’aria aperta.
Appaiono come uno sfizio per il palato, un accessorio del campeggio ideale a stelle e strisce.
La realtà fuori dalla pellicola è ben diversa: da crudi, hanno la consistenza della trippa secca; da arrostiti, diventano dei min-contenitori di una lava bianca simile al vinavil, e dolciastra oltre ogni limite dell’accettabile.
A piantarla di fare il cinico, posso dire che la scelta dei marshmallow è davvero l’unica pagliuzza rintracciabile negli occhi degli organizzatori. Non che mancassero le travi, ma erano tutte necessarie a sostenere il granaio, le stalle e il resto della corte rurale che lo scorso fine settimana, nella campagna intorno alla cittadina di Kent, ad un’ora da Londra, hanno ospitato un’inusuale tre giorni di documentari.
L’originalità consiste perlopiù nel realizzare un Festival dedito a ricordare ai documentaristi il piacere di fare documentari, lontano dallo spirito di competizione e dall’ansia della produzione. Come si legge
Olly Lambert, co-organizzatore e giovane talento emerso della scena documentaristica britannica, me lo spiega così “La vita di un autore di documentari è molto spesso alienante e isolata. Soprattutto nei primi anni di carriera non è sempre facile condividere dubbi, successi o frustrazioni. Per questo cerchiamo di offrire una sorta di rifugio a chiunque lavori nel settore, per riscoprire o rinforzare l’amore per questo mestiere.”
Per realizzare un tale ambiente, non ci sono né premi, né cerimonie. Lo spirito è ben diverso da eventi più blasonati. Il paragone più frequente che sento fare è con lo Sheffield Doc Festival, la più importante vetrina per i documentari del Regno Unito, in cui gli aspetti del ‘mercato’ (il networking e il pitching) sono palpabili.
La scelta dei documentari da inserire nel programma segue la stessa logica. “Non proiettiamo solo documentari nuovi, o solo di professionisti – continua Olly – non abbiamo neanche un macro tema comune. Il criterio principale che seguiamo è: il documentario deve poter ispirare il pubblico e offrirgli spunti di riflessione.”
Spunti che è facile condividere con gli stessi autori dei lavori proiettati, spesso presenti al Festival per l’intero fine settimana.
La voglia di condividere è alla base anche delle sessioni “Bring your own”, in cui documentaristi possono mostrare 10 minuti dei loro lavori ancora incompleti di fronte ad una platea di colleghi e professionisti. Quest’ultimi sono poi tenuti a dare 10 minuti di commenti e consigli per video.
Musica dal vivo, fuoco, vino, e le stelle della campagna inglese si prendono cura del resto della serata.
È una formula convincente, che ha raggiunto la sua terza edizione. Un facile segno del suo successo si può trovare nella presenza dell’ospite speciale di quest’ultima tornata: il regista statunitense Alan Berliner. Il suo non è un nome noto al grande pubblico, ma è riconosciuto come uno dei principali autori in circolazione a livello internazionale.
Le uniche nubi nell’orizzonte del Festival sono di natura economica. Il Quadrangle ha un costo di 30 mila sterline (35 mila euro). La vendita dei biglietti copre all’incirca un terzo del conto; donazioni e fondi per eventi culturali fanno il resto, ma la volatilità di questi ultimi rende il futuro incerto.
Conscio dell’aspetto finanziario, prima, dopo e durante il Festival sono accompagnato da un pensiero fisso: un evento del genere troverebbe delle condizioni fantastiche in Italia.
Dal punto di vista artistico, è difficile immaginarlo con lo stesso respiro internazionale del Quadrangle, ma perlomeno l’italica abbondanza di corti rurali ed il suo clima ben più generoso di quello inglese invitano a tentare un simile esperimento di condivisione.
Al di là di divismi, per ritrovare il gusto e la voglia di raccontare storie.
Written and photo by Roberto Valussi
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