di Emanuele CostaSe è vero che Aristotele ha esaminato il ruolo dello Stato in materia economica, corrisponde ad altrettanta verità che lo fatto tenendo ben fermo il principio che il “fine dello Stato è il vivere bene”, nel senso che ogni Pubblica Amministrazione deve essere in grado di garantire maggior benessere al suo popolo. Non è facile, invece, individuare quale sia il fine nel comportamento assunto dagli Amministratori Pubblici e, conseguentemente, se gli obiettivi della loro gestione siano improntati al perseguimento di quei benefici che la Comunità di riferimento ha il diritto di reclamare. Purtroppo, si constata come il ruolo da essi ricoperto non sempre sia all’altezza delle responsabilità che si incontrano nel governare la “cosa pubblica”. Infatti, in ossequio alla compiacenza con l’uno o l’altro burocrate di turno si licenziano bilanci che esprimono tutt’altro di ciò che in realtà devono rappresentare. Così accade che quella parvenza di corretta applicazione di norme, sia puntualmente disattesa con l’approssimarsi delle scadenze che impongono la verifica del mantenimento degli equilibri generali. A farne le spese sono sempre i Cittadini, colpevoli di necessitare di quei bisogni essenziali, come l’istruzione od i servizi sociali, che in futuro saranno tagliati, per effetto della scure dell’incapacità amministrativa. Sanzionare i responsabili per previsioni del tutto fuorvianti dall’elementare applicazione del principio della prudenza non è mai all’ordine del giorno. Se così fosse, infatti, non sarebbe possibile mantenere in vita quei giochi di complicità, che costituiscono il perno intorno al quale ruotano le cattive gestioni. E’ molto più semplice punire i Cittadini perché, una volta espressa la loro preferenza nell’urna, nulla può essere elemosinato da loro fino alla prossima campagna elettorale. Eppure, non costerebbe nulla allontanarsi dal quel comportamento mosso dall’interesse personale in direzione di quello che Michio MORISHIMA chiama “ethos giapponese”, costituito da senso del dovere, lealtà e buona volontà, che hanno sempre prodotto il successo di qualsiasi politica.
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Qual è il fine del governare la res publica?
Creato il 03 settembre 2010 da Leone_antonino @AntoniLeone
di Emanuele CostaSe è vero che Aristotele ha esaminato il ruolo dello Stato in materia economica, corrisponde ad altrettanta verità che lo fatto tenendo ben fermo il principio che il “fine dello Stato è il vivere bene”, nel senso che ogni Pubblica Amministrazione deve essere in grado di garantire maggior benessere al suo popolo. Non è facile, invece, individuare quale sia il fine nel comportamento assunto dagli Amministratori Pubblici e, conseguentemente, se gli obiettivi della loro gestione siano improntati al perseguimento di quei benefici che la Comunità di riferimento ha il diritto di reclamare. Purtroppo, si constata come il ruolo da essi ricoperto non sempre sia all’altezza delle responsabilità che si incontrano nel governare la “cosa pubblica”. Infatti, in ossequio alla compiacenza con l’uno o l’altro burocrate di turno si licenziano bilanci che esprimono tutt’altro di ciò che in realtà devono rappresentare. Così accade che quella parvenza di corretta applicazione di norme, sia puntualmente disattesa con l’approssimarsi delle scadenze che impongono la verifica del mantenimento degli equilibri generali. A farne le spese sono sempre i Cittadini, colpevoli di necessitare di quei bisogni essenziali, come l’istruzione od i servizi sociali, che in futuro saranno tagliati, per effetto della scure dell’incapacità amministrativa. Sanzionare i responsabili per previsioni del tutto fuorvianti dall’elementare applicazione del principio della prudenza non è mai all’ordine del giorno. Se così fosse, infatti, non sarebbe possibile mantenere in vita quei giochi di complicità, che costituiscono il perno intorno al quale ruotano le cattive gestioni. E’ molto più semplice punire i Cittadini perché, una volta espressa la loro preferenza nell’urna, nulla può essere elemosinato da loro fino alla prossima campagna elettorale. Eppure, non costerebbe nulla allontanarsi dal quel comportamento mosso dall’interesse personale in direzione di quello che Michio MORISHIMA chiama “ethos giapponese”, costituito da senso del dovere, lealtà e buona volontà, che hanno sempre prodotto il successo di qualsiasi politica.
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