Qual è il tuo uomo ideale?

Da Wummina @womenusersman
Pochi giorni fa, durante un convegno, mentre il corpo che ospita tutte le mie personalità era impegnato a fare la blogger, io ho intervistato una super gnocca. Tolti i panni business oriented e indossata la faccia da fashion victim, ho abbordato una fanta-figa e, dopo la marketta* di cortesia, le ho fatto un paio di domande.
"Qual è il tuo uomo ideale" - le ho chiesto, dando il via al consueto fiume in piena di luoghi comuni.
Lo voglio intelligente. Lo voglio divertente. Voglio che mi faccia ridere. Che mi prenda "di testa" e via andare.
Ora. Probabilmente se la super-gnocca fossi stata io, avrei risposto more or less le stesse cose.
Di fatto, care le mie lettrici e cari i miei lettori, sappiamo tutti come l'uomo ideale non esista. O esista solo in via letteraria e non sul tessuto, sudaticcio, non filtrato e dannatamente reale, della vita letterale. Vera.
Io, per esempio, da piccola, ero innamorata di Terence.
(E di Magnun P.I., e di MacGyver, e dell'Uomo Tigre e di Kit, la macchina, non il guidatore).
Poi, arrivata all'adolescenza in una famiglia bene, educata dalle Orsoline e dai Piamartini, ho iniziato a perdere la testa solo ed esclusivamente per quello che mia madre chiamava "il prototipo del disgraziato".
Lo sognavo rock, io, il mio maschio perfetto. Fuori dagli schemi. Poetico, decadente. Colto e dannato. Soprattutto dannato. Sì, decisamente dannato. Il top of the pop, quando avevo diciassette anni, per me, era il piccolo delinquente. Mi piacevano quelli che a scuola (privata, ovvio) bruciavano le lezioni per andare in castello. Mi piacevano quelli che non c'erano mai ai diciottesimi. E alle feste in piscina. Mi piaceva chi sapeva cosa dire, ma spesso stava zitto.  Quelli che facevano sbavare me, però, uscivano con tipe molto-molto diverse dalla sottoscritta. Ho capito abbastanza presto come la femmina ideale del mio maschio ideale non fossi io. Nemmeno un po'. Dopo aver atteso qualche anno che il rockettaro del quartiere si accorgesse della mia intelligenza o della mia garbata gnocchitudine, ho mollato la spugna. E ho iniziato a uscire con quello che passava il convento.
Il mio convento, ubicato in una piccola città di provincia del nord Italia, era (ed è) fatto di esseri umani nella media. Mediamente intelligenti, ma non fulmini. Bellocci magari, ma non adoni. Piuttosto interessanti, ma non da bava alla bocca. Bravi ragazzi. Chi più, chi meno.
Mi sono fidanzata con un compagno d'università che frequentava gli stessi pollai che vivevo io: facoltà di giorno, diciottesimi prima e feste di laurea poi, sciate in inverno e party in piscina d'estate.
Ed è cambiato, anno dopo anno, il mio concetto di uomo ideale. Io ho smesso (quasi del tutto) di trovare interessanti i disgraziati e mi sono fatta piacere concentrata sui bravi ragazzi. Erano lì. Erano intorno a me (come la Vodafone) e - per di più- sembravano interessati! Camicine azzurre con le iniziali, faccia pulita, tennis, sci, barca a vela, e curricula a prova di certificato qualità.
Chi mi ha fatto perdere la testa, però, fino a portarmi oltre l'altare, era un "fuori-catalogo", davvero diverso dal profilo del maschio cui fino ad allora mi ero associata.
Per quanto, dunque, le femminucce si ostinino a cercare un uomo ideale, a immaginarlo e a raccontarsela (anche in diretta, alle sciocche blogger che fanno domande idiote!), non c'è davvero niente da profilare. Nulla da mettere a budget.
L'amore, a differenza del business, anche se subisce l'influenza delle regole del marketing, come qualunque altra cosa nella nostra vita, è uno di quegli argomenti che comunque tu la metta, ti lascia impreparato. E ti coglie alla sprovvista.

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