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Qual è la logica del “no” ad un posto di lavoro?

Creato il 14 settembre 2012 da Propostalavoro @propostalavoro

Qual è la logica del “no” ad un posto di lavoro?

Non c’è che da stupirsi! Va bene che si tratta di assunzioni con contratto a termine, ma per un professionista qual è l’infermiere salire sul treno che marcia in direzione della propria stazione d’arrivo, anche se solo per un tratto parziale, sembrerebbe un’occasione da cogliere al volo! E invece no, in 500 hanno rifiutato l’offerta; All’ospedale Grassi di Ostia su nove posti disponibili la copertura è risultata di soli due, perché si dice no alla possibilità di guadagnare 1.300 euro al mese per 5 mesi con diritti legali di liquidazione, tredicesima e indennità di licenziamento se si è disoccupati? Non si può …

 ignorare il quadro generale nel quale ci troviamo collocati al momento: calo del pil; disoccupazione; stenti; aziende leader in crisi; crollo della spesa in famiglia; tasse insostenibili; tagli, rinunce e sacrifici per tutti secondo una legge di vita e di sopravvivenza in condizioni critiche, secondo il principio del buon senso, si accetta tutto se è d’aiuto e poi non si sa mai “da cosa nasce cosa”! Ma loro hanno detto No grazie, non ci interessa questo contratto.

Di fronte a tale fenomeno sono due le possibili spiegazioni: o non è vero che siamo in crisi è solo un generale vittimismo speculare oppure c’è qualcosa che non va. Dovendo escludere con sufficiente certezza l’ipotesi della crisi infondata ci vediamo costretti, di fronte al fenomeno di cui sopra, a cercare di capire cosa c’è che non va. I motivi alla base di detti comportamenti, in forma squisitamente ipotetica, possono essere gli più svariati ci limiteremo in questa circostanza a considerarne almeno due: la “mentalità” del lavoratore e il no come mossa strategica o “braccio di ferro” fra chi fa la domanda e chi fa l’offerta.

Come risulta dai nostri archivi più volte ci siamo occupati del mortificato valore del Lavoro, della mancanza di educazione ad esso quale espressione più alta dell’azione umana. In molte occasioni abbiamo sottolineato quanto il valore e la qualità della esperienza personale siano connesse all’opportunità di espandersi nelle maglie del sociale attraverso il proprio contributo lavorativo realizzando il senso di appartenenza, il senso di adeguatezza e di indispensabilità oltre ad appagare il bisogno di affermazione ed il diritto di esprimersi nei propri talenti. Il “No”considerato in questa sede sembra non contenere tracce di queste valenze prestigiose; somiglia piuttosto ai no pronunciati di fronte ad una proposta indecente di quelle che offendono la dignità di chi la riceve. L’altra possibile spiegazione potrebbe essere, come anticipato sopra, quella del braccio di ferro: siccome della nostra opera non potete fare a meno allora le regole le dettiamo noi; noi siamo già disoccupati e non ci cambia molto restando tali, ma voi senza di noi vi paralizzate. In questo secondo caso auspichiamo che echeggi nelle menti non solo l’amarezza dello svilimento della sacralità del lavoro, ma anche tutta la tendenza culturale all’aggressività, alla legge del più forte, tendenza alla sopraffazione del potere malsano del quale la società è satura e nauseata.


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