Qual futuro per il Partito Democratico

Creato il 14 febbraio 2012 da Tiba84
Domenica E. Scalfari, nel suo solito editoriale, aveva rivolto un interrogativo al Partito Democratico (qui un interessante commento in proposito),
Post scriptum. Alcuni deputati che fanno parte della segreteria del Partito democratico sembrano decisi a presentare ai loro organi dirigenti la proposta di trasformare il Pd in un partito socialdemocratico sullo schema del partito socialista europeo. Ciascuno pensa e fa quel che “il core mi ditta dentro e va significando” ma il senso di questa proposta mi sfugge.
Sono tra gli elettori del Pd ed ho partecipato alle primarie fin dai tempi dell’Ulivo di Prodi e poi del Pd come certificano le liste stilate nei gazebo dove il voto delle primarie veniva raccolto insieme ai dati anagrafici dei votanti. Credo sia il solo partito italiano che adotta le primarie e me ne rallegro, ma non credo che avrei votato per un partito socialdemocratico che oggi a me sembra del tutto anomalo nel panorama italiano. Se la proposta passasse penso che sarebbe un favore per il partito dell’Udc, un genere di favore che non può essere ricambiato. Il Pd è nato appena quattro anni fa come partito riformista e innovativo ed ha avuto il voto anche di molti liberali di sinistra ed ex azionisti come anch’io sono. Quando si presentò alle elezioni ebbe il 34 per cento dei voti: mai i riformisti italiani, durante la monarchia e poi durante la repubblica, erano arrivati ad un terzo del corpo elettorale. Era lo stesso livello raggiunto dal Pci di Berlinguer, di cui però il Pd non era la continuazione.
Sarei molto lieto di conoscere in proposito l’opinione del segretario del Pd, Pierluigi Bersani. Tanto per sapere, come elettore del partito da lui guidato.

Oggi P. Bersani ha risposto
Caro direttore,rispondo volentieri alla sollecitazione di Eugenio Scalfari affinché mi pronunci sulla possibilità che il Pd sia ricondotto ad un Partito Socialdemocratico. Con tutta franchezza (e non facendo certo difetto ai democratici la pluralità di opinioni!) non conosco né documenti né intenzioni di dirigenti di Partito che pongano quel problema.
Nessuno discute di questo. Piuttosto si discute, da noi e in Europa, su come configurare i rapporti fra Partito Democratico e famiglia dei Socialisti Europei ai cui appuntamenti siamo invitati ed attivamente presenti senza esserne membri. Parliamo dunque di questo e parliamone avendo negli occhi le immagini del dramma greco, ben evitabile con una diversa politica europea, così da andare alla sostanza evitando quegli stucchevoli giochi di posizionamento che ogni tanto (sempre meno, per fortuna!) riemergono nel Pd.
Innanzitutto una premessa, che devo ad un elettore come Eugenio Scalfari. Dopo quattro anni siamo usciti dal problema identitario. Non abbiamo certo finito il nostro lavoro di costruzione né abbiamo corretto tutti i nostri difetti, ma non siamo più una ipotesi o un esperimento o un partito in cerca di Dna.
Siamo il primo partito italiano. Con l'aiuto di tutti, davvero di tutti, abbiamo fatto i conti con riflessi nostalgici e continuisti e con nuovismi vacui. Ci siamo appassionati alla sintesi di culture riformiste antiche e nuove, e vogliamo che vivano contaminandosi e non da separate in casa. Abbiamo ribadito il ruolo della politica riconoscendone tuttavia i limiti; vogliamo regole nuove nella politica e sperimentiamo con convinzione l'apertura alle espressioni civiche e al protagonismo dei cittadini. Siamo un Partito progressista, un Partito del lavoro, della Costituzione, dell'Unità della nazione. Un Partito profondamente europeista. Ormai esistiamo. Non possiamo più permetterci sedute psicanalitiche. Il nostro profilo sarà semplicemente il prodotto di quello di ciò che diremo e che faremo per l'Italia e per l'Europa, sostenendo i valori e gli interessi che vogliamo rappresentare.
In Europa siamo ad un tornante storico. Nei giorni scorsi il direttore del Times ha raffigurato plasticamente su Repubblica i dilemmi che abbiamo di fronte. In conseguenza della sbornia liberista si è radicata (non solo in Germania) una ideologia difensiva e di ripiegamento che è stata corteggiata dalla Destra ed estremizzata dai populismi. Questa ideologia ci sta portando tutti al disastro. Che la risposta a tutto questo possa venire solo da periodici vertici di Bruxelles, è una drammatica illusione. Serve una battaglia politica ed ideale, serve una voce sola dei progressisti che si faccia sentire in Europa, serve una piattaforma comune.
Ci stiamo lavorando con intensità, in particolare con la Spd di Gabriel con Francois Hollande.
Emergono ormai proposte concrete per una diversa politica europea. Le sosterremo assieme nella prossime campagne elettorali, a cominciare da quella francese. Ecco allora la domanda di prospettiva: quale soggetto puoi interpretare stabilmente una politica comune dei progressisti, a fronte di forze conservatrici europee che hanno mostrato di sapere ampliare le loro relazioni politiche?
Nel Parlamento Europeo c'è stata una evoluzione positiva: si è formato il gruppo dei Socialisti e dei Democratici Europei, che sta lavorando bene. Ci si deve impegnare per un esito simile sul piano politico: la costruzione cioè di un soggetto politico europeo aperto ai riformisti di diversa ispirazione. Non è forse geneticamente connaturata al Pd una simile proposta? Non è forse coerente con quello che diciamo a proposito di una organizzazione internazionale dei progressisti che oltrepassi le antiche famiglie e che raccolga i soggetti socialisti, democratici e liberali, di tradizione ambientalista o di ispirazione religiosa, che in tutto il mondo combattono il liberismo della destra conservatrice? Noi dunque opereremo in questa chiave.
Con due avvertenze. La prima: non cadremo nella pretesa ridicola di dare lezioni e terremo conto del peso reale delle forze progressiste in campo in Europa. La seconda: non avremo timore di contaminazioni per eccesso di vicinato. Ci affideremo con fiducia alla forza della nostra esperienza e delle nostre convinzioni. Chi volesse osservare la discussione nella Spd e nei verdi tedeschi o le recenti pratiche politiche dei Socialisti francesi potrebbe forse riconoscere qualche traccia delle nostre buone ragioni.

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