In questi giorni nessuno di noi può evitare di interessarsi alla questione libica e più in generale alla situazione del nord Africa, scosso da una serie di rivolte e cambiamenti politici così notevoli che alcuni analisti paragonano questo momento al crollo del muro di Berlino. Se allora per la Germania, per l’Europa e più in generale per lo scenario globale, cambiò completamente quello che viene definitivo come “l’ordine internazionale”, stavolta le proteste e le rivoluzioni che si susseguono dal nord Africa al Medioriente fanno pensare a cambiamenti altrettanto rilevanti, sia per la futura situazione dei paesi interessati, sia per le sicure conseguenze nei rapporti tra il mondo arabo e quello occidentale.
L’Italia, come è accaduto in altri momenti della nostra politica estera (a scienze politiche si dibatte addirittura se sia mai esistita o meno una politica estera italiana con pareri assai divergenti sul tema), sembra anche stavolta giocare un ruolo di risulta, mancare del protagonismo che la geografia le imporrebbe. Sono certamente passati i tempi in cui i governanti sembravano quanto bene capire tutto questo e cercare di rapportarcisi. Oramai siamo abituati solamente a vedere baciamani, video di imbarazzanti colloqui e urla leghiste contro gli “invasori”.
La guerra in Libia (che per ironia della sorte si compie nel centenario dell’invasione italiana) è ormai cominciata da giorni, lo scenario è a dir poco incerto, eppure l’Italia, nonostante si veda “costretta” a concedere basi militari per via del suo impegno della NATO oscilla, tentenna, imbarazzata dall’appartenenza all’Alleanza Atlantica da un lato, e legata da quell’ambigua amicizia Berlusconi-Gheddafi concretizzatasi in un Trattato d’Amicizia dai contenuti dubbiamente legittimi (di fatto “permette” all’Italia la possibilità di “respingere” i migranti in mare contro ogni regola di diritto internazionale che imporrebbe il rispetto del “non refoulement”, il non respingimento, norma di natura cogente ovvero assoluta: su questo peraltro si espresso anche l’UNHCR specificando che tale obbligo si applichi ovunque uno stato abbia giurisdizione, quindi anche in mare, a differenza di quanto sostiene il governo italiano).
In tutto ciò tocca pure vedere come il governo riesca come non mai a fare tutte le parti in causa: protestare e (non) governare allo stesso tempo. Tocca sentire la Lega che protesta per il clandestini (senza manco chiedersi se tra essi ci sia gente a cui spetti lo status di rifugiato) e allo stesso tempo essere forza di governo, avere uno dei suoi esponenti al vertice del Ministero degli Interni ed essere la causa del caos scatenatosi a Lampedusa. Si perché pare ovvio a tutti che tenere tutti gli arrivati su un’isoletta microscopica sia un modo per scatenare il caos, ma il governo sembra ritenere funzionale e propagandistico tutto ciò e perciò rallenta i trasferimenti con la scusa che le regioni non collaborano (cosa non vera, visto anche che Emilia-Romagna, Umbria e il mio carissimo “buco nero della democrazia”, la Toscana, hanno dichiarato a differenza di altre di essere pronte ad accogliere tutti i tipi di immigrati, clandestini inclusi- e ci mancherebbe, dove li buttiamo, in mare forse ?!-).
Per finire questo commento-sfogo voglio raccontarvi una bellissima scena a cui ho assistito giorni fa sul bus: una signora anziana chiacchierava tranquilla con una ragazza araba col velo. Dopo pochi minuti quest’ultima si alza e scende; la signora anziana si rivolge a me e dice qualcosa del tipo “sa aveva voglia di parlare, si sentono soli ed emarginati. Lo capisco, l’ho provato anch’io. Eppure non lo ricorda nessuno e a voi a scuola non l’insegnano”… un sorriso mi ha illuminato la giornata…sono una “fanatica” dell’importanza della memoria storica. E questa scena mi ha riempito il cuore.