Cara Eowyn Ivey: chi sei? Sei forse anche tu una bambina di neve? Sei forse anche tu fatta di altro, di fiabe, e non soltanto di carne e di acqua e di poche piccole inezie, come tutti noi? Sei forse tu la bellezza in persona, la perfezione della natura; la sua ciclicità? La sua violenza?
Perché è questo che a un certo punto mi sono domandata leggendo il suo primo romanzo, La bambina di neve, editore Einaudi.
Alaska - Alpine - fiume Wolverine. Qui accadono le avventure di Mabel, Jack, Pruina e i Benson. Più tutti gli alci, gli orsi, le volpi argentate, le volpi rosse, le lepri americane, i polli, i cavalli, i gulo gulo e gli svariati animali boschivi e montani. Più la neve, i mirtilli, le rape, il pane, le patate, il fuoco, il caffè, l'acqua calda, il ghiaccio. Le bacche, "rosse e mature, traslucide come gioielli". O "erbe di montagna, pietra bagnata e neve fresca", che sono i sapori dei baci di Pruina. Una bambina che poi cresce e profuma di "rododendro, sambuco, ortica, neve fresca".
Una bambina con i capelli biondissimi, le ciglia bianche, la parvenza selvatica di un nido, i silenzi e i misteri di un animale ma la consistenza e la capacità di scatenare sentimenti di una persona vera.
Una bambina che, proprio come una fata, appare e scompare per molti anni nei paesaggi incontaminati e insieme aspri dell'insediamento agricolo in cui Mabel e Jack decidono di trasferirsi, ormai un po' avanti con gli anni, dopo la dolorosa perdita del loro unico figlio, ancora neonato. Una bambina tremante e sicura insieme, spaventata e piena di energie, generosa di piccoli doni e distaccata come qualcuno da cui non aspettarsi mai niente, qualcuno che nessuno, oltre loro, aveva mai visto nei paraggi, la cui esistenza è leggera e infinitesimale e dispettosa come quella di un fiocco di neve, ma che lentamente, per la coppia, diventerà una figlia.
E come tutti i figli, compresi quelli che non esistono ancora o che mai esisteranno: "non potevi tenerla troppo stretta né sapere cosa le passasse per la mente. Forse era così con tutti i bambini". E tuttavia a differenza di molti bambini, per molto tempo, Pruina vive da sola, è capace di cacciare gli animali (di uccidere e nutrirsi di un cigno, ad esempio), capace di scivolate tra gli alberi altissimi, di sopportare, anzi di amare solo il freddo, la solitudine dei cieli stellati, capace di afferrare tra le mani la neve, senza farla sciogliere.
Eppure anche lei ha bisogno di una famiglia, come tutti. E sarà proprio questo estenuante, miracoloso bisogno a far sbocciare una fiaba da una fiaba; una fiaba antica, che Mabel ritrova dai recessi lontani della sua infanzia, tutta illustrata, dove accadono le stesse cose che poi ritornano, simili a un destino, nella realtà. Una specie di magia. Alla quale però Mabel vorrebbe trovare un altro finale, meno spietato.
"C'erano una volta un vecchio e una vecchia che si amavano moltissimo ed erano contenti di ciò che avevano tranne che per un unico, grande rammarico: non avevano figli".
La tenacia di Mabel, che si convince del potere del credere a una cosa per farla accadere, e la resistenza maschile di Jack potrebbero scombinare le rigide regole della fantasia, per aderire a qualcosa di più straordinario, che assomiglia più alla semplice realtà.
A me, questo libro, ha ricordato la voce di Björk. In particolare alcune canzoni, come Jóga o Pagan poetry o Hyperballad. Una voce di cristalli delicati, celesti, che però non può che uscire da una bocca di donna, assetata di vita e di desideri.
Chi di voi aveva visto questo film? Dancer in the dark? Chi ricorda questo? Il duetto con Thom Yorke? Quel film io l'ho visto, da sola, a ventanni, nel 2000, quando è uscito. (Ha poi vinto la Palma d'oro a Cannes come miglior film). In sala eravamo in due. C'era, a pochi file di distanze, un'altra ragazza, un po' più grande di me. Dopo la proiezione ci siamo prese un caffè insieme, per sopportare la devastante emozione di quella pellicola. Mai più.
Ricordo di aver pensato - poiché la storia e l'attrice Björk avevano toccato corde molto vive e profonde in me - di aver chiaramente pensato proprio questo: mai più. Mai più sentirmi così. Come Selma, la protagonista del film. E la cosa andava oltre una banale identificazione. Io ero Selma. E mai più essere Selma, era la mia nuova regola da rispettare.Poi invece oggi a distanza di undici anni, riecco qualcosa, della scintilla, nella dolorosa leggerezza di un fiocco di neve, a riaprire quel capitolo. Una sensazione molto dolce, cui lasciarsi andare per un attimo soltanto: come i cioccolatini ai frutti di bosco che ho mangiato leggendo il romanzo. Una sensazione che adesso rivivo con maggiore tranquillità: la sensazione della bianca, assoluta, abbagliante, ottusa, innocente tenerezza della vita, con tutto lo stupore, il sangue, l'amore, lo sforzo; con tutta la velocità assassina delle bestie (che siamo anche noi), con il loro cadere sotto l'astuzia dell'uomo e viceversa, tutta l'ingenuità della speranza, la costruzione di un mondo: quando a furia di desiderare qualcosa, finisci per vederla materializzarsi sul serio lì di fronte a te. Sarà una bambina? O è solo il "mal d'inverno"? Sarà un sogno che si avvera? O solo il frutto clemente della disperazione? Comunque, di qualsiasi cosa si tratti, uscendo dal libro, non ha più alcuna importanza: resta l'impressione di aver ricevuto un regalo. Un regalo che vive chiuso in uno scrigno di ghiaccio. Disegnato a matita. Scritto sulla pelle. Simile al cibo. Vicino alle stelle. Forte come un fiume. Alto come i picchi delle montagne, tondo come un ombelico, potente come la corsa di un cavallo, sicuro come il succedersi delle stagioni, lento come il respiro del sonno, felice come un risveglio pieno di aspettative; possibile, come la storia di ciascuna persona.Ancora non ci credo che il libro l'abbia scritto una semplice donna. Ma forse in effetti a pensarci bene non può averlo scritto che lei.c\_/