Recentemente mi è capitato di leggere due note molto interessanti e a mio parere anche estremamente centrate, su due libri conservati nel Fondo Librario di Poesia di Morlupo. Si tratta de La trasmutanza di Alessandro Ghignoli analizzato da Giacomo Cerrai e de I cani dello Chott el-Jerid di Andrea Raos letto da Daniele Barbieri. Sulla poesia di Alessandro Ghignoli mi fa piacere segnalare inoltre una mia nota di lettura uscita qualche tempo fa sul blog Viadellebelledonne (http://viadellebelledonne.wordpress.com/2012/07/08/il-catalogo-delle-distanze-attese-su-amarore-di-alessandro-ghignoli/ ). Di Andrea Raos rimando volentieri alla recentissima uscita in qualità di traduttore di OLOCAUSTO di Charles Reznikoff per Benway Series http://benwayseries.wordpress.com/2014/09/09/charles-reznikoff-olocausto-holocaust-benway-series-6/
Su La trasmutanza, Alessandro Ghignoli di Giacomo Cerrai “Ai luoghi e alle lingue lasciate / ai luoghi e alle lingue trovate”: la dedica di questo libro offre già una serie, per quanto breve, di considerazioni. A partire dalla apparente opposizione che contiene: luoghi e lingue non sono persi e poi ri-trovati, sono stati lasciati e quindi, inevitabilmente, abbandonati. E ipotizzo che siano stati riconosciuti frusti e inservibili al dire e – quindi – abbandonati al loro destino o al loro riuso da parte di altri, certo ad un più basso livello di valore. Perchè è difficile inizialmente sfuggire all’impressione che Ghignoli sia mosso, oltre che da una vena certo sperimentale e pure provocatoria, anche da una certa sfiducia nelle capacità per così dire plastiche della lingua dell’oggi e del qui, in un suo ormai insanabile logoramento. E quindi dalla necessità di trovarne una “nuova”, una nuova techné, una diversa abilità artigiana. Di distanziarsi anche da una modernità insostenibile, intraprendendo proprio nella scrittura un viaggio da cui ’i’no spero di tornar giammai, come dice Cavalcanti in un esergo. Antica e nuova lingua, come un linguaggio sorgivo, ancora carico di sviluppo, di ulteriore “volgarizzazione”, come lo era quello di Guittone, anche lui qui citato. E quindi di speranza e futuro, non tanto paradossalmente, proprio perchè è il tentativo di una lingua nella quale le parole riacquistino un loro “pieno”, una loro giusta pesantezza, magari anche spigolosa, rispetto alle cose. Leggi tutto http://ellisse.altervista.org/index.php?/archives/742-Alessandro-Ghignoli-La-trasmutanza.html
Su I cani dello Chott el-Jerid, Andrea Raos di Daniele Barbieri “Ci sono stato, io, nello Chott el-Jerid. È il deserto più deserto che si possa immaginare, fatto di sale anziché di sabbia, il luogo più arido e doloroso al mondo, dai colori più incredibili, un fantastico correlativo oggettivo del male, della innaturalità e della morte, così morto e perfetto da prestarsi a essere metafora della tecnica estrema, della condanna a cui è destinato il mondo quando si oltrepassano i limiti. (…) Qui, la meraviglia non manca. Viene costruita direttamente anche nella dimensione fonetica, attraverso il gioco delle allitterazioni e delle paronomasie, a loro volta giustificate dalla frequenza delle ripetizioni, degli elenchi. In certi momenti il soggetto non può fare altro che contemplare, ed elencare: non giudica mai, registra, al massimo riproduce con altri mezzi. Leggi tutto http://www.guardareleggere.net/wordpress/2014/09/08/dei-cani-di-andrea-raos/