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Qualcosa Di Nuovo Sotto Al Sole

Creato il 09 giugno 2010 da Gianclint
Qualcosa Di Nuovo Sotto Al Sole-C’erano... un Italiano, uno Svedese, un Inglese e uno Spagnolo: discorsi di calcio giovanile-


2*puntata: il rapporto con l’esercizio.
Quel che più facilmente si riscontra nella formazione calcistica dei giovani calciatori è il rapporto “in­completo” che spesso si stende a sviluppare con l’attrezzo: se la palla è vista come strumento per il solo gioco, è inevitabile che l’aspetto che la stessa sfera può apportare a livello di concentrazione e attenzio­ne sarà accantonato. Il divario più evidente si riscontra negli esercizi che riguardano la tattica, ma pure le esercitazioni tecniche col singolo.
“Se introducessi tanti esercizi con la palla otterrei una maggior coinvolgimento... Partendo dal presup­posto che i ragazzi in qualche modo “temono” gli avversari europei, alla lunga, otterrei l’effetto con­trario. Ovvero, tornerebbero a chiedermi di fare più movimento senza il pallone. Ti faccio un esempio banale: i bersagli... i più bravi c’entrerebbero sempre il bersaglio; i più determinati farebbero un 6-7/10... alla fine, non ho ottenuto nulla in realtà di quel che vorrei. Allora che faccio?, metto le sago­me... e due birilli ed un compagno: tocco, scambio, dribbling e corsa, mira e tiro... La parte che meno digeri­scono, e non fanno poi in partita, è quella della partecipazione al “gioco d’insieme”. «Tanto con italia­ne, spagnole...», dicono tra loro, come se fosse inutile il sapere “come trovarsi”...”
Potrebbe apparire catastrofico nel descrivere così i “suoi” ragazzi: un gruppo con scarsa fiducia nei propri mez­zi tecnici e collettivi. In realtà, la disponibilità -mentale per lo più-, verso un discorso calci­stico am­pio, è forse l’aspetto più difficile da ottenere a quest’età -15-17 anni-: venivano citati i bersagli. L'atteggia­mento spesso negativo che si riscontra in alcuni è l’auto-determinarsi in un ruolo fisso: chi prenderà il centro 10/10 si sen­tirà un cecchino infallibile, chi viceversa, con mezzi tecnici, o di coordi­nazione più scarsi, si sentirà di “dover essere” un mastino che ara il campo. Se lo scopo di una struttu­ra formativa calcistica -e umana-, è quel­lo di portare a giocare e pensare “calcio insieme” ai propri compagni, alla propria squadra, questo è uno scoglio che si presenta spesso davanti.
L’allenatore inglese dei “Pandas”, davanti ad una coca-cola con la fetta di limone, dice: “Se non li sol­leciti li perdi... se li lasci a loro stessi sono buoni a farsi un pisolino sulla panchina: ne ho uno che ha deciso di essere la reincarnazione di Keagan... A volte mi sfida: non sbaglia una conclusione da fuori area neanche se lo bendo... ha già un tiro impressionante e deve terminare lo sviluppo ovviamente... Ora, facciamo l’esercizio... segna, e mi guarda; di nuovo e poi ancora... Mentre aspetta il turno li man­do dal mio secondo a far scambi di posizioni senza palla -l'esercizio consiste nel posizionarsi accanto ai “cinesini”, contare immaginariamente dei tocchi di palla e incrociare la posizione per “prendere la marcatura dell’assistente” che di volta in volta si sposta ora qui, ora là-. Fa casino, lo vedo e glie­lo dico: ‘Se non capisci che l'esercizio non è per far fiato, ma per imparare i movimenti senza palla...’, «Ma io sono una punta!»... I difensori questi scambi li fanno ad occhi chiu­si... se tu ti confondi a farli da attaccane, “ti si mettono in tasca”.
M., lo spagnolo, è più drastico: “Quando ‘becco’ il fenomeno di turno... e magari potrebbe pure diven­tarlo... gli “taglio le gambe”. ‘E’ inutile che mi guardi... tanto chi gioca lo so già’, gli dico; e lui si buio... Poi è ovvio la domenica gioca, e fa tre gol... Quello intelligente, maturo, capisce che qualcosa l’ha imparato, quello più testone esulta coi compagni, mi passa davanti e non mi guarda... quasi avesse fat­to un dispetto a me. Gli ormoni sono davvero difficili da gestire, non i ragazzi!...”, sospira.
Chiudo il mio racconto con una frase che mi sembra riassuntiva di certi atteggiamenti che si posso­no riscontrare in campo fra i ragazzi. In una sera tiepida del nord Europa un ex-giocatore locale, presen­te al Torneo in qualità di responsabile tecnico, si prestò per accompagnare gli ospiti in giro per la cit­tà: “A volte, c’è da chiedersi per quale motivo ti rispettino... Il sospetto è che lo fac­ciano per­ché sei "quello che ha giocato" e stop... Non perché magari hanno il sospetto che non sia tanto impor­tante quello, ma quanto puoi insegnargli per far riuscire loro! Al campo non si ha più nulla chiedere, non tro­vi?”; nessuno aggiunse più niente, mi pare.

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