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Qualcosa va cambiato

Creato il 15 luglio 2015 da Amalia Temperini @kealia81

Non riesco a dormire. C’è un caldo tremendo. I pensieri corrono in piena notte troppo veloci.                                             E’ brutto pensare e ripensare alle cose accadute cercando giustificazioni plausibili atte a raggiungere delle motivazioni concrete. E’ meglio guardare in faccia la realtà e rassegnarsi. Elaborare e attraversare quei momenti incompresi, apparsi nelle condizioni di chi è stato incapace di muoversi e fare. Sono da mesi in fase di cambiamento. Ribalto la mia vita ogni singolo giorno tra processi raffinati e scalcinati. Oggi ho studiato il pensiero artistico di Luca Vitone. Mi sono molto emozionata davanti a un lavoro del 2013 intitolato “Per l’eternità“. Un progetto fotografico presentato alla Biennale di Venezia in cui egli denuncia, attraverso una azione poetica di unicità drammatica, la condizione di coloro che hanno visto distruggere per 70 anni la loro terra dalle industrie Eternit – fonte di ricchezza economica e disastro ambientale senza precedenti che ha visto e vedrà la vita di chi vive in quelle zone consumarsi a seguito della contaminazione di polveri di cemento nocive (parlo dell’area di Casale Monferrato in Piemonte).  Quando qualcuno si assume la responsabilità di agire a questa maniera, collocandosi e rimanendo radicati a un’idea di rispetto per l’altro narrandone la storia, in chiari intenti di protesta, mi piace. Sono stanca di vedere artisti giovani e vecchi che fanno processi per accumulo. Ognuno crede di essere meglio dell’altro raggiungendo spiragli di idee impensabili, creando strategie e soluzioni che stabiliscono solo ingaggi economici di ampio margine non lasciando nulla alla comunità in cambio. Sono dei percorsi di scelta che si autoalimentano dal nulla e verso esso, il nulla. Ignavi, vigliacchi, inerti convinti che la loro azione sia rivoluzionaria. Penso che la rivoluzione per loro sia quella di un contatto diretto con uno specialista. Uno psichiatra capace di porli nella condizione di dire in modo chiaro che la loro forma di lavoro non è altro che un tentativo vano di salvificazione dalla depressione. Se alcuni di loro si votassero alla vita, sarebbe più facile. Mi arrabbio quando sento di alcuni che non lavorano e rimangono impoltroniti su sedie e letti aspettando ispirazione o un miraggio. Cazzate.  Tutte cazzate. Non vogliono alzarsi e fare. Prendessero esempio dagli operai, da chi, cioe’, non perde mai il contatto con la realtà. Prendessero petto diretto con quelle persone che mostrano gratitudine e umiltà all’altro senza scaricare frustrazioni derivanti da un successo mancato. Il successo. Che cosa vergognosa e vuota, lo inseguono tutti con forme di baccano plateale. Spesso mi soffermo a capirne i motivi e non arrivano. Avere notorietà e non saperla gestire con una lucidità sana porta alla distruzione e al tradimento del proprio io, quello buono e salvabile non contaminato da nichilismo e forme di narcisismo paranoico o istrionico. Muoiono tutti dalla voglia di ricevere applausi ma nessuno capisce che l’applauso che conta è il gesto che tu stesso offri alla tua anima crescendo in autostima. È così difficile sentirsi normali e capire che fare l’artista vuol dire essere uguale a me che faccio la blogger o a un contadino che produce formaggio? Ognuno conosce la propria esclusività al meglio ma pochi sono pronti a crearne uno scambio e una sinergia. Allora cosa va trasformato affinché ci sia una presa di coscienza non dettata dalla nullità?


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