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Quale confine tra diritti umani e sicurezza pubblica? Lo sgombero del campo rom di Tor De Cenci

Creato il 10 ottobre 2012 da Thefreak @TheFreak_ITA

Venerdì 28 settembre, gli abitanti del campo attrezzato di Tor de’ Cenci, appena fuori dal Grande Raccordo Anulare in direzione sud, sono stati svegliati da una squadra di ruspe scortata dai vigili urbani.

Intere famiglie di rom hanno silenziosamente obbedito all’ordine di abbandonare e svuotare rapidamente le proprie abitazioni, per poi radunarsi intorno ai nastri gialli ed assistere alla totale distruzione che ne è seguita.

Il Municipio XII ha potuto proseguire l’attuazione del “Piano Nomadi” dopo che la sentenza del Tar Lazio ha confermato la sussistenza di “esigenze igienico-sanitarie”, rivendicate nell’ordinanza di sgombero, rimuovendo così gli effetti del provvedimento cautelare di sospensione ottenuto da alcune famiglie rom a fine agosto. Gli sfollati sono stati poi trasferiti all’ex Fiera di Roma, poiché la sistemazione definitiva è ancora in fase di preparazione: 140 uomini e donne di tutte le età vivono ora in spazi del tutto inidonei all’uso abitativo, in totale promiscuità e potendosi servire soltanto di una decina di bagni chimici. Al momento in cui scrivo, le condizioni igieniche sono peggiorate vistosamente, e alcuni rom hanno iniziato uno sciopero della fame per manifestare il loro sdegno.

Naturalmente sono cosciente di quanto la situazione sia complessa, poiché la risoluzione di tutte le problematiche annesse richiede il contemperamento di interessi in conflitto tra loro. Per farsi un’idea basta leggere i commenti sulle pagine web dei comitati di quartiere, che esultano per essersi liberati di coloro che riempivano l’aria di diossina bruciando plastica; altri romani attaccano le condizioni in cui i rom fanno vivere i loro bambini, altri ritengono che i campi disturbino il decoro urbano, o ancora che essi attentino alla pubblica sicurezza in quanto costituiscono ricettacoli di delinquenza. Se la popolazione locale ha percezione di tali problemi, è sicuramente obiettivo delle politiche sociali di un municipio quello di risolverli. Ciononostante, non voglio credere che l’unica via sia quella degli sgomberi forzati e dei campi di segregazione, pratiche, queste, in contrasto con i principi condivisi da tutti i paesi facenti parte del Consiglio d’Europa, i quali si impegnano a tutelare, tra gli altri, anche i diritti dei rom: si stima siano 10-12 milioni i migranti di questa etnia che vivono in Europa, e non si può ragionevolmente pensare di prescindere da una gestione corale dei problemi di immigrazione e di integrazione sociale che inevitabilmente si pongono (il governo ha, peraltro, approvato una Strategia nazionale di inclusione dei rom la primavera scorsa).

Chi si è schierato in questo senso, tra le altre le associazioni cattoliche della Caritas e la Comunità di Sant’Egidio, è stato tacciato di denunciare , appellandosi alla carità cristiana, azioni moralmente opinabili, il che poco c’entra con la dura realtà. Io, invece, ci vedo (anche) macroscopici errori dettati dalla mancanza di buon senso, nonché dalla ostinata ricerca di consensi alla vigilia della campagna elettorale. Si dovrebbe sapere, infatti, che i container di Tor de’ Cenci furono acquistati e piazzati con soldi pubblici pochi anni fa, che essi si trovavano ancora in buono stato la settimana scorsa, e che sarebbe stato economicamente più conveniente procedere ad una riqualificazione degli spazi attrezzati piuttosto che allo smantellamento degli stessi. Il deterioramento delle condizioni di vita nel campo, peraltro, cominciò quando i servizi minimi di sorveglianza forniti dai vigili furono tagliati per mancanza di fondi.

Per quanto attiene l’integrazione sociale, va detto che le maestre elementari del quartiere sono accorse sul luogo, il 28 settembre, per capire come mai i loro alunni rom non si fossero presentati in classe quella mattina. Ciò dimostra che l’inserimento di quei bambini non è impossibile. E’ dunque tollerabile vanificare l’egregio lavoro (anzi, semplicemente, il lavoro) di quelle educatrici? I bambini vivono adesso a un’ora di tragitto, o più, dalla loro scuola, e chissà in quale istituto saranno obbligati a trasferirsi, una volta portati nella sistemazione definitiva (si fa per dire). La continuità scolastica concorre a inserire i bambini, e conseguentemente le loro famiglie, nel tessuto sociale, il che, pur volendo adottare la logica di controllo dell’amministrazione, sarebbe l’unico modo di monitorare queste comunità. Al contrario, creare conglomerati di 900 reietti (si veda il campo de La Barbuta) mi sembra un’ottima mossa per inimicarsi un’intera comunità e dover lottare contro, allora sì, ad una formazione compatta.

Infine, quel che ha maggiormente scioccato i testimoni dell’operazione, e indirettamente me, per quanto ho potuto da loro apprendere, sono state le modalità barbare con cui è stato eseguito l’ordine. Perché non si è dato un adeguato preavviso? Perché non hanno scelto una fascia oraria in cui i bambini non sarebbero stati presenti? Perché nessuno ha fornito assistenza psicologica, come accade invece in altre situazioni critiche? Spero di non conoscere già le risposte.

di Elena Rosazza Gianin

già membro della Comunità di Sant’Egidio


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