Com’era prevedibile, il referendum del 12 e 13 giugno ha eliminato una volta per tutte la possibilità di produrre energia nucleare sul suolo italiano. Un risultato che è il frutto di una campagna di informazione palesemente demagogica, che ha sfruttato la tragedia di Fukushima per evitare un dibattito serio e ponderato preferendo invece puntare tutto sulla reazione emotiva scaturita dai fatti giapponesi. Chi scrive è piuttosto scettico sull’esito del referendum, ma visto che tale è stata la scelta degli italiani bisogna rispettarla. E allora la cosa migliore da fare è interrogarsi su quali siano le migliori strategie energetiche da adottare per il futuro, al fine di raggiungere quell’autosufficienza energetica auspicata da tutti.
Partiamo da un dato di fatto: le modalità di approvvigionamento energetico sono ben conosciute, e sono sempre le stesse (combustibili fossili, rinnovabili, mercato estero). Ora, l’Italia è uno dei Paesi con le maggiori percentuali di energia acquistata all’estero (circa il 13%) e, proprio per questo, con le bollette più care; se a ciò aggiungiamo che il fine è quello di produrre l’intero fabbisogno energetico all’interno dei confini nazionali, si evince che la soluzione non può certo essere quella di incrementare la quota proveniente dagli altri Paesi (Francia in testa).
Per quanto riguarda le rinnovabili, occorre fare un bel po’ di chiarezza perché è uno degli equivoci sfruttati ad arte dagli antinuclearisti per perorare la propria causa. Infatti si fa presto a dire “l’Italia è il paese del sole e del vento, sfruttiamoli”, peccato che le cose non siano così semplici. Primo, perché la quantità di energia che può essere prodotta attraverso le fonti rinnovabili non è nemmeno lontanamente sufficiente a soddisfare la domanda; secondo, perché per colmare tale gap dovremmo riempire di pale eoliche e pannelli solari una enorme parte del territorio, con buona pace degli abitanti (allora sì che avremmo un fortissimo movimento “nimby” anche in Italia); terzo, perché sole e vento non sono disponibili a comando (il picco di massima richiesta di energia in Italia avviene nei mesi invernali alle ore 19: come la mettiamo?).
Dunque, non fosse altro che per esclusione, l’unica strada è quella di aumentare la produzione da combustibili fossili. Il che presenta due problemi non da poco. Il primo è che le risorse non sono illimitate e prima o poi finiranno, mentre il secondo è che questo tipo di produzione è la principale responsabile delle emissioni di CO2. Ora, sul primo punto c’è poco da fare mentre ben più interessante appare la possibilità di sviluppare la ricerca sul cosiddetto “carbone pulito”, ossia sulle tecnologie che consentono di ridurre notevolmente l’impatto ambientale della produzione da combustibili fossili. Certo, è una strada ancora molto lunga e in salita, ma è quella che la maggioranza degli italiani ha deciso di imboccare. Con quanta consapevolezza non so, visto che secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità le emissioni di CO2 provocano circa 20.000 morti l’anno mentre i morti causati da incidenti nucleari sono infinitamente di meno. Ma questa è un’altra storia. Che qualcuno ha voluto chiudere prima che ne fosse scritta la fine.