Durante il suo intervento in Senato per riferire quanto deciso dal Consiglio europeo l’8 e il 9 dicembre, il premier Mario Monti non ha negato le profonde divergenze tra gli Stati membri dell’Ue riguardo alcune specifiche questioni. Su tutte la possibile emissione di eurobond, titoli di debito comuni, su cui la Germania ha espresso più volte la sua contrarietà. Ma la spaccatura più profonda è stata quella consumata dalla Gran Bretagna che si è sfilata dall’accordo raggiunto (dunque a 26 anziché a 27) sul un nuovo patto di bilancio. “È verosimile che la scelta britannica – osserva Enzo Cannizzaro, professore ordinario di Diritto dell’Unione europea all’università La Sapienza – possa però avere serie ripercussioni sul piano istituzionale, data la difficoltà di modificare i trattati istitutivi dell’Unione senza un accordo unanime degli Stati”.
“Le difficoltà – spiega ancora Cannizzaro a T-Mag – sono dovute essenzialmente a ragioni politiche. Gli stati dell’area euro intendono modificare i trattati esistenti per rafforzare la sorveglianza sui bilanci e per stabilire una cooperazione più stretta in materia fiscale che conduca ad una politica comune, mentre il governo britannico ha chiesto, al fine di aderire a tale trattato, delle concessioni in materia di servizi finanziari che avrebbero assicurato alla Gran Bretagna un diritto di veto su future decisioni”.
Strappo di Londra a parte, ora infatti si prospettano regole più stringenti per i Paesi dell’Ue: dall’obbligo del pareggio di bilancio con sanzioni per chi non lo rispetterà, all’introduzione anticipata a luglio 2012 del meccanismo di stabilità che andrà a sostituire l’attuale fondo Efsf. Però, tiene a chiarire il professore, “non ci sono molti punti di rottura rispetto al passato”.
“Il contenuto del nuovo trattato – afferma – tende infatti a rafforzare la sorveglianza sulle politiche economiche degli Stati e la graduale affermazione di una politica fiscale. Questa esigenza è emersa in relazione alla crisi dell’euro che ha dimostrato le difficoltà di una moneta unica senza una politica economica comune. Si tratta peraltro di un processo ineludibile, a meno di non rinunciare alla politica monetaria”. Negli ultimi mesi, proprio su questi temi, non si è potuto non notare un bilanciamento dei “poteri” dirottato verso l’asse Berlino-Parigi. Un fattore sintomatico dei tempi che stiamo attraversando o il chiaro segno di qualcosa che a Bruxelles non ha funzionato? “Stiamo evidentemente vivendo – risponde Cannizzaro alla domanda – un ritorno ai procedimenti di carattere intergovernativo. Tali procedimenti non sono una novità ed hanno caratterizzato tutta la vita dell’Unione. In questi anni stanno però evidenziando l’incapacità dell’Ue di sviluppare dinamiche politiche sovranazionali, che prescindano cioè dal consenso degli Stati membri”.
Una circostanza resa ancora più vera dalla difficoltà a mostrare i muscoli sotto un’unica egida anche in politica estera. Ma qui il discorso esula dalle decisioni in ambito economico, per quanto non manchino talvolta le assonanze. “La politica estera – precisa a tale proposito il professor Cannizzaro – incontra diversi ostacoli ad affermasi in quanto si tratta di un campo assai sensibile, nel quale gli Stati non intendono cedere poteri alle istituzioni sovranazionali”.
Un po’ come la Gran Bretagna – con lo strappo al Consiglio europeo – non ha nascosto una certa riluttanza a rinunciare alla propria sovranità. O ancora, tornando al discorso di Monti in Senato, l’impossibilità di “tracciare un confine tra paesi totalmente virtuosi o peccaminosi, dopo che proprio Germania e Francia nel 2003 hanno delegittimato il patto di stabilità”.
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