Mi chiedo se perseverare non sia un accanimento poco terapuetico alle volte, se non sia un modo di non saper leggere i segni, un non rendersi conto di cosa l'Universo (o chi per esso) sta cercando di dirti.
Mi chiedo quale sia il limite. A che punto il continuare a lottare nonostante le non sempre metaforiche "legnate" diventa masochismo e gusto di "farsi del male"?
Arrendersi subito non è un'ipotesi accettabile, non sono stata programmata per questo. Ma da cosa si potrà mai riconoscere il limite? E soprattutto dov'è davvero?
Ottimismo e stupidità sono quindi così confinanti? Sono separati da una linea davvero così sottile? Andarsene in giro sorridendo equivale al tentativo di abbattere un muro che ti hanno spiegato essere indistruttibile?
Per motivi diversi in questi giorni penso che non ho poi la costanza che credevo e che le difficoltà sembrano parzialmente avere la meglio su di me, almeno momentaneamente...
Poi continuando a passeggiare tra i blog (unica attività di scrittura di questo periodo) mi sento salutare come ottimista, e penso che mai definizione è meno azzeccata al periodo che sto vivendo, ma voglio coglierla come incoraggiamento, solo mi chiedo...
Quale sarà il colpo che cancellerà il sorriso dell'ottimismo?
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