A cosa servirà un Reputation Manager? E a chi?
Nell’epoca del Grande Fratello (quello di Orwell per intendersi, non il reality), dove le informazioni da tv e carta stampata arrivano nella quasi totalità dei casi filtrate, drogate, annacquate e “aggiustate”, dove può capitare che qualche mattina ti svegli e una voce dentro di te chiede: “Oggi, Neo, pillola rossa o pillola blu?”, Internet è l’ultimo baluardo dell’informazione libera, ed è destinata a diventare il terrore dei “furbetti di quartiere”, siano essi persone fisiche o aziende vere e proprie.
Sempre più spesso, oggi, il web riveste un ruolo importante nell’influenzare se non addirittura condizionare le scelte di molte categorie di consumatori, non solo giovani o giovanissimi, ma anche adulti desiderosi di avere riscontri attendibili e “consigli per gli acquisti” imparziali.
Come abbiamo già avuto modo di dire in uno dei nostri articoli, “Il web annulla i rapporti di forza. Su internet tutti possiamo essere dei Davide in grado di abbattere un Golia”. Questo significa che le opinioni dei consumatori, di chi ha provato, sperimentato, testato un prodotto o un servizio, sono in grado di decretare il successo o il fallimento di un’iniziativa commerciale come e più di una campagna pubblicitaria.
Pensate alla grande utilità che può avere un sito come Turisti per caso per chi deve raccogliere informazioni sulla meta delle prossime vacanze. Si possono trovare centinaia di racconti di viaggio dettagliati e del tutto “genuini”, liberi da condizionamenti e figli unicamente della soggettività di chi li scrive. Se mi dovesse capitare di leggere recensioni estremamente negative su un determinato villaggio turistico o un agriturismo, sicuramente valuterei altre destinazioni.
Ma non si tratta solo di questo.
Secondo quanto è emerso da una ricerca effettuata da Kelly Services, azienda americana che opera in ambito risorse umane, quasi il 90% degli italiani considera la reputazione aziendale come fattore determinante per orientare una scelta importante (oggi più che mai) come quella di decidere se accettare una nuova proposta di lavoro oppure rimanere nella vecchia azienda.
Il complicatissimo momento che sta attraversando l’economia globale ha sicuramente attenuato l’impatto che, in condizioni di mercato “normali”, avrebbe avuto sulle aziende la web reputation, per quanto concerne la loro capacità di attirare o trattenere i migliori talenti, ovvero quelle figure in grado di garantire continuità di profitti e di trasmissione di valori aziendali. Oggi, con la penuria di offerte di lavoro che sta caratterizzando questo biennio, le aziende possono permettersi il lusso di andare a caccia di talenti in un mare magnum di cervelli in cerca di collocazione. Ma domani?
Ora come ora il settore della ricerca e selezione di personale vive ovviamente un periodo interlocutorio, sia pure in presenza di confortanti segnali di ripresa, come ci confermano importanti studi effettuati da prefessionisti del settore (EBC Consulting – Software per la gestione delle Risorse Umane e Hoel Consulting – Selezione personale e formazione per le Risorse Umane, per citarne un paio), ma provate a pensare quale scenario si potrà delineare prossimamente: ripresa dell’economia, incremento del volume d’affari, ampliamento degli organici, offerte di posti di lavoro. Il fattori discriminanti per chi dovrà valutare se lasciare il vecchio posto di lavoro per una nuova avventura non saranno più solamente l’aspetto economico e le aspirazioni professionali. Un peso sempre maggiore nella scelta lo avrò la reputazione aziendale, già oggi argomento accessibile a chiunque grazie a Internet e non più viziato dal non sempre attendibile “passaparola” di paese.
Questi sono i contesti in cui si dovrà muovere il Reputation Manager.
Una figura in grado di raccogliere informazioni, scandagliare la rete, intraprendere contromisure, adottare politiche di comunicazione per migliorare l’immagine o per cercare di recuperarla, nei casi peggiori.
Possiamo azzardare a dire che si tratta delle nuove frontiere del marketing. Non più una comunicazione unidirezionale (l’impresa che ha la presunzione di comunicare la cosa migliore in assoluto per il consumatore e di conseguenza pensare di condizionarne i comportamenti), bensì una quotidiana battaglia a suon di post, per conquistare, blogger dopo blogger, i favori del web.
E non bisogna pensare che questi concetti siano legati unicamente a realtà multinazionali o a global brand. Anche la microimpresa che, giustamente, si affaccia ad un mercato internazionale, o che semplicemente vuole promuovere i suoi prodotti/servizi sul web, deve tener conto di quanto può essere determinante l’opinione dei suoi clienti consumatori.
Lo stesso vale per il singolo individuo, che viene esaminato a fondo prima ancora di averlo conosciuto di persona. Secondo una recente indagine, negli U.S.A. il 70% delle nuove assunzioni è pesantemente influenzata dalla web reputation dei candidati. Come scrive Fabio, uno dei nostri esperti in materia, sul web rimane traccia di tutto.
Presto anche in Italia la reputazione che ci siamo costruiti (o cmq si spera almeno non rovinati) su Internet avrà il suo peso.
Un commento al vetriolo sul nostro capo postato su Facebook (…e magari il nostro capo se lo merita pure un simile commento) rischia di crearci una reputazione da piantagrane…
Quindi…niente di nuovo sotto il sole, almeno per le aziende. O quasi. La centralità del cliente è stato il leitmotiv degli anni ‘80 e continua ad esserlo tutt’oggi. Tutto deve ruotare attorno alla ricerca della sua soddisfazione. Prodotto/servizio soddisfacente equivale a commenti positivi sul web. Questo vale in linea di principio, ma con una variabile in più: ora è anche necessario controllare continuamente che qualcuno non parli male di noi nonostante i nostri buoni prodotti/servizi.
Tutto di nuovo invece per i privati che non pensavano, fino a ieri, di avere un’immagine pubblica. Un po’ alla volta tutti ce la stiamo costruendo, volenti o nolenti. Vediamo di farlo bene. Oppure chiediamo aiuto ad un Reputation Manager. Il nostro personal trainer per il web.