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QUALI POSSIBILITA’ ANCORA CI SI OFFRONO? di GLG, 11 marzo ‘14

Creato il 12 marzo 2014 da Conflittiestrategie

 

Ci troviamo in una situazione decisamente penosa, assai difficile da interpretare, oserei dire decifrare. Non per nostra insipienza, io credo, bensì per quella altrui, per quella di queste sedicenti forze politiche incapaci di guadare definitivamente il “fiume”. La fase storica iniziata con il crollo dell’Urss (sul piano internazionale) e la susseguente fine della nostra prima Repubblica per mano della “(in)giustizia” (sul piano interno) è ormai in stato agonico. I protagonisti del “ventennio” – i rinnegati del piciismo e il Mostro creato ad arte da questi ultimi, incapaci di governare altrimenti che così – sono ormai scialbi, quasi spenti, non hanno più un qualche appeal; se non per una turba, sempre meno consistente, di beoti. Tuttavia, è assai problematico predire quanto ancora questa agonia proseguirà tra sussulti e rantoli vari.

Difficile capire quali legami, non diretti ovviamente ma nemmeno senza influssi di una certa rilevanza, vi siano tra la situazione venutasi a creare in Ucraina – dove gli Usa con i loro fantocci della UE al seguito non sembrano in grado di ottenere risultati eclatanti e tuttavia nemmeno la Russia è al momento in grado di mettere termine a quella che è di fatto una aggressione – e quella italiana. Questo nuovo governo, tutto sommato inventato, non sembra avere possibilità di agire in modo minimamente efficace. A parole vorrebbe far credere ad una diminuzione della fiscalità. Avrebbe scelto alleggerimenti dell’Irpef con scarsi aumenti di salari e pensioni al di sotto di un certo limite (si dice 1500 euro, immagino lordi), creando malcontento nel settore imprenditoriale dove si insiste sul costo del lavoro (riduzione del cuneo fiscale; anche se oggi si parla pure di questo ma senza grande convinzione), sull’IRAP (che colpisce il fatturato e non l’utile; e che d’altra parte contribuisce per un terzo alla spesa sanitaria), ecc.

Non vorrei sembrare favorevole al mantenimento di una pressione fiscale assai elevata, poiché non è questa la mia intenzione, ma debbo dire che l’alleggerimento della stessa, fine a se stessa, crea troppe illusioni circa la “cura” della crisi. Una crisi, fra l’altro, che proprio come ho sostenuto più volte fin dall’inizio non è mai sfociata nella gravità di quella, famosa, del ’29, sempre fatta aleggiare come spauracchio, unendo tale catastrofismo all’altrettanto menzognero battage sul suo sempre imminente superamento. L’insistenza ossessiva sulla fiscalità – con le sue varianti di alleggerimento della stessa sulle persone fisiche o sulle imprese, ecc. – è tributaria di un “keynesismo” minore e fuori tempo. Siamo ancora all’idea che l’economia è “tirata” dalla domanda dei diversi “soggetti consumatori”; anche le imprese vengono infatti considerate in tale veste, poiché ciò che conterebbe sarebbe l’investimento, cioè il “consumo” (domanda) di beni di produzione.

Ci si scorda che comunque il New Deal fu importante sia per grandi opere infrastrutturali (che favorirono processi di intensa industrializzazione; ad es. nel Tenessee) sia per una estensione e “approfondimento” del taylorismo-fordismo con notevoli effetti nell’industria degli armamenti (più rapida produzione di aerei, carri armati e via dicendo) che facilitò la vittoria nella seconda guerra mondiale, reale causa del superamento definitivo di quella crisi come chiarito molte volte in questo blog (e in miei libri). Altro che “spesa pubblica” per supplire ad una domanda privata deficitaria! Questa è la base ideologica della teoria keynesiana, quella sempre ben propagandata, come lo furono il “laissez faire” e la “mano invisibile” dell’epoca smithiana, pilastro del liberismo tradizionale.

Il problema cruciale, in una fase storica come l’attuale con precisi caratteri di tendenziale multipolarismo, consiste – per ogni paese dotato di alcune buone potenzialità così com’è l’Italia – in una politica di maggiore autonomia e di difesa delle proprie migliori prerogative. Occorre proteggere i settori strategici ancora in nostro possesso, che favoriscono appunto una politica estera maggiormente elastica e sciolta da vincoli di ossessiva dipendenza da un paese predominante (in questo caso, ovviamente, gli Stati Uniti). Occorre saper giostrare tra più potenze fra loro concorrenti in misura crescente.

Intanto, la si smetta di essere eccessivamente preoccupati di scontri mondiali imminenti. Nel 1962 – quando Usa e Urss erano potenze di quasi eguale forza, mentre oggi la Russia è ancora notevolmente indietro rispetto al rivale – vi fu la famosa “crisi di Cuba” che tolse il sonno a intere popolazioni. Risi all’epoca, creando sconcerto nei miei interlocutori, perché capivo abbastanza bene qual era il gioco in atto tra “ambienti” kruscioviani e kennediani (ma per motivi di lotta interna alle due potenze, che non a caso condussero ad un assassinio presidenziale nel ’63 e ad una destituzione del segretario del Pcus nel ’64). Oggi siamo addirittura ad una ancora rilevante dissimmetria di forza tra i due paesi. Si stanno svolgendo molti giochi che noi non vediamo, ma sicuramente russi e americani stanno provando una serie di mosse e contromosse (certamente con i secondi all’attacco e i primi in difesa; ma i secondi sono del tutto esenti da possibili mosse avventate?) che non condurranno, ancora per lungo tempo, ad uno scontro diretto e violento.

E’ comunque cruciale per gli Usa il ruolo dell’Europa e, in questa, dell’Italia. Qui casca l’asino, come suol dirsi. In vent’anni di gioco complesso, il nostro paese, in mano a quelli che ho denominato “cotonieri” (una imprenditoria privata ormai priva di slancio e tutta dedita a settori nell’insieme complementari alle economie di altri paesi più forti; non solo gli Usa, i predominanti, ma anche la Germania, ecc.), ha subito una devastazione politica considerevole. I giochi consentiti nel mondo bipolare sono divenuti impossibili. Per un certo periodo, si è ancora lasciato un minimo di spazio – nel settore energetico quasi esclusivamente – ad una politica che potesse fingere l’alternanza “democratica” tra due schieramenti, detti impropriamente “destra” e “sinistra”, del tutto simili nei contenuti servili del loro comportamento verso gli Usa. Poi, si è imposta una svolta, in cui tutto tende all’annullamento di ogni minima autonomia italiana. La suddetta alternanza è quasi scomparsa, i protagonisti della finzione “democratica” si sono resi completamente evanescenti o in ogni caso incolori. Non riescono proprio ad interessare e a sollecitare attenzione in una popolazione pur tutt’altro che in grado di seguire l’andazzo della politica. Questi guitti suscitano solo grande preoccupazione; per la loro totale imperizia, per una demenziale discussione “di genere” (sesso) invece che prendere decisioni di sicuro effetto in campo politico ed economico.

Gli unici gruppi, comunque ancora molto deboli e insicuri, che sviluppano una opposizione alla politica dei partiti oggi maggioritari (e, come detto, del tutto spenti e in piena crisi) sembrano principalmente interessati al fallimento dell’euro e alla (certamente intollerabile) intrusione della UE negli affari interni di vari paesi, fra cui il nostro. Anche in tal caso, nessuna difesa da parte nostra né degli organismi europei (con in testa la BCE) né della moneta unitaria. Tuttavia, porsi questi obiettivi come praticamente i soli da perseguire conduce ad un indebolimento di ogni possibile politica di effettiva autonomia e sovranità. Ripeto ossessivamente da anni che, dietro l’attività degli organismi della UE (vero complemento della NATO) e le politiche monetarie attuate (quindi anche dietro l’azione di complessi finanziari), esistono precisi centri promotori di strategie tese all’allargamento di sfere d’influenza. Tali centri non hanno affatto un carattere sovranazionale, si rifanno a precisi apparati di dati Stati; certamente quelli dotati della forza e degli strumenti idonei ad usarla per i proprio scopi. Tuttavia, questi Stati afferiscono a paesi che hanno determinate strutturazioni sociali, specifici gruppi di comando e altri che incalzano perché sono convinti della bontà di nuove strategie operative.

In definitiva, e per concludere, proporrei che ogni possibile critica alle politiche europee ostili all’autonomia del nostro paese non nasconda dove si situano i principali centri strategici che influenzano tali politiche. Essi si trovano concentrati negli Stati Uniti e usano della potenza di quello Stato ancora predominante per ottenere la maggior estensione mondiale possibile dei loro comandi e dei loro interessi di preminenza. Nel contempo, tali centri sembrano – soprattutto nell’attuale congiuntura storica – differenziarsi fra loro quanto meno a livello delle tattiche da seguire per ottenere i loro fini; e lottano fra loro per avere il controllo degli apparati statali (statunitensi) indispensabili all’ottenimento di questi fini. Tali apparati sono soprattutto quelli di esercizio della forza e quelli che mirano invece alla penetrazione di tipo lobbistico e/o culturale nelle varie aree del globo; con differenziazioni nell’uso di questi o quegli apparati e nell’indirizzare la loro azione verso questa o quell’area.

Fondamentale è dunque concentrarsi su analisi precise di tali problematiche, dotati di una teoria adeguata all’uopo. Parafrasando Lenin: senza teoria, niente analisi e sbagli clamorosi nell’individuare i principali nostri avversari. Siamo ancora in una situazione di grande debolezza. Settant’anni di predominio degli Usa nella nostra area (e, nell’ultimo quarto di secolo, con sparizione di un minimo di opposizione, legata alla presenza dell’URSS, e la conquista integrale dell’Europa) hanno provocato un vero “imbarbarimento” culturale, un afflosciamento di ogni pur minima volontà di resistere all’invasione dei più potenti. In Francia, il processo è stato di una visibilità particolare, data la totale sparizione della pur non sufficiente autonomia gollista. Sarà necessario un lungo percorso, con il rispetto di alcune esigenze tattiche pur nella chiarezza delle analisi compiute. Non mancheranno infine, come mai sono mancati, gli “appuntamenti” storici, che arrivano quasi sempre del tutto imprevisti. Ciò che oggi fa paura è l’inconsistenza delle forze che dovrebbero essere presenti a quegli appuntamenti nel nostro continente europeo. Quanto all’Italia, la devastazione appare completa e la massa dei servi (soltanto dementi) quasi coincide con il complesso della popolazione. Un bel disastro “epocale”!

 


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