Per la configurazione del reato di “abbandono di persona incapace” è sufficiente il dolo generico, ossia la consapevolezza di abbandonare il soggetto passivo, che non abbia le capacità di provvedere autonomamente alle proprie esigenze.
L’Italia è piena di extracomunitari che, per mantenersi, offrono la propria assistenza in favore di persone anziane. Lo fanno in cambio di vitto, alloggio e uno stipendio a volte modesto. Diventano così badanti “a tempo pieno”, affidatari dei bisogni primari di un parente ormai avanzato di età o di un portatore di handicap totalmente incapace.
Capita, però, non raramente il badante abbandoni il “posto di lavoro”, a volte anche durante la notte, senza preavviso, alla ricerca di un impiego meno vincolante o per far ritorno al suo Paese d’origine.
Sono casi ordinari, purtroppo, fin troppo ripetuti forse perché le famiglie, dinanzi a tali illeciti, “lasciano correre”, strette più dalla necessità di trovare, nell’immediatezza, un sostituto. Ma non sempre si pone attenzione al fatto che detto comportamento configura un reato: quello di “abbandono di persona incapace” (Art. 591 cod. pen.). Il che consente di querelare il badante poco zelante e di avviare, nei suoi confronti, un vero e proprio processo penale.
Lo ha ricordato la Cassazione in una recente sentenza. (Cass. sent. n. 49492/13 del 9.12.2013)
In verità, perché si realizzi il reato in questione non è necessaria la fuga del “lavoratore”; basta semplicemente che questi abbandoni l’anziano o l’incapace anche per poche ore, sebbene dorma nella propria abitazione, per assentarsi e recarsi altrove.
Non rileva se il badante non abbia le competenze professionali rivolte all’assistenza di persone disabili. È sufficiente la semplice consapevolezza di abbandonare il soggetto che non abbia le capacità di provvedere autonomamente alle proprie esigenze.
Foggia, 10 gennaio 2014 Avv. Eugenio Gargiulo