Il film non è di ieri, ma a me è capitato di vederlo proprio ieri sera, si tratta de "Il discorso del re" di Tom Hooper (Gran Bretagna, Australia, 2010), vincitore di quattro premi Oscar (ma questo è importante fino a un certo punto). La balbuzie è un difetto del linguaggio che può colpire chiunque, è in sè democratica, ma quando a soffrirne è un membro della famiglia reale inglese che diventa re (dicembre 1936) dopo l'abdicazione del fratello Edoardo VIII a nemmeno un anno dalla sua ascesa al trono, allora la questione diventa "di Stato". Re Giorgio VI non riesce a parlare fluentemente, e in un'epoca caratterizzata dall'irrompere dei mezzi di comunicazione di massa - la radio - comunicare con la parola diventa centrale e non se ne può fare a meno. Giorgio VI riuscirà a sbloccarsi grazie all'aiuto di un logoterapeuta. E qui entra in scena l'altro livello del film, quello del confronto tra le classi: il terapeuta non è per nulla imbarazzato dal fatto di trovarsi di fronte al monarca inglese, che tratta come qualsiasi altro paziente. Il re all'inizio mal sopporta questo approccio "egalitario", poi, si convincerà che si tratta dell'unica strada per poterne uscire. Una lezione di democrazia, dunque, dove i rapporti personali, il dialogo e la fiducia sostituiscono ogni discorso sul "preteso" colore del sangue, anche se c'è da pensare che senza la balbuzie, senza la difficoltà nell'esercizio del proprio ufficio di monarca, anche l'atteggiamento di Giorgio VI sarebbe rimasto quello di un membro della famiglia reale a tutto tondo. Ad ogni modo, Giorgio VI guidò il suo paese nella seconda guerra mondiale a fianco degli Usa e dell'Urss contro la barbarie nazi-fascista, non abbandonando mai Londra, nemmeno nei momenti più difficili (quanta distanza dai Savoia che scapparono da Roma, come ladri nella notte, dopo l'8 settembre 1943!). Per tornare al film, è stato, secondo me, ben rappresentato il tormento del balbuziente di fronte alla parola da pronunciare, fino alla decisione del rifiuto della parola, del mutismo; negli occhi del protagonista, interpretato da Colin Firth, l'angoscia di fronte alla parola pensata o letta ma che non riesce a diventare suono. Moderno anche l'approccio terapeutico, che si rivolge sia all'aspetto meccanico che piscologico, fino all'uso della musica. Un film che, spero, aumenti il tasso generale di umanità e che possa bandire quelle insulse barzellette che hanno come protagonista un balbuziente.
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Il film non è di ieri, ma a me è capitato di vederlo proprio ieri sera, si tratta de "Il discorso del re" di Tom Hooper (Gran Bretagna, Australia, 2010), vincitore di quattro premi Oscar (ma questo è importante fino a un certo punto). La balbuzie è un difetto del linguaggio che può colpire chiunque, è in sè democratica, ma quando a soffrirne è un membro della famiglia reale inglese che diventa re (dicembre 1936) dopo l'abdicazione del fratello Edoardo VIII a nemmeno un anno dalla sua ascesa al trono, allora la questione diventa "di Stato". Re Giorgio VI non riesce a parlare fluentemente, e in un'epoca caratterizzata dall'irrompere dei mezzi di comunicazione di massa - la radio - comunicare con la parola diventa centrale e non se ne può fare a meno. Giorgio VI riuscirà a sbloccarsi grazie all'aiuto di un logoterapeuta. E qui entra in scena l'altro livello del film, quello del confronto tra le classi: il terapeuta non è per nulla imbarazzato dal fatto di trovarsi di fronte al monarca inglese, che tratta come qualsiasi altro paziente. Il re all'inizio mal sopporta questo approccio "egalitario", poi, si convincerà che si tratta dell'unica strada per poterne uscire. Una lezione di democrazia, dunque, dove i rapporti personali, il dialogo e la fiducia sostituiscono ogni discorso sul "preteso" colore del sangue, anche se c'è da pensare che senza la balbuzie, senza la difficoltà nell'esercizio del proprio ufficio di monarca, anche l'atteggiamento di Giorgio VI sarebbe rimasto quello di un membro della famiglia reale a tutto tondo. Ad ogni modo, Giorgio VI guidò il suo paese nella seconda guerra mondiale a fianco degli Usa e dell'Urss contro la barbarie nazi-fascista, non abbandonando mai Londra, nemmeno nei momenti più difficili (quanta distanza dai Savoia che scapparono da Roma, come ladri nella notte, dopo l'8 settembre 1943!). Per tornare al film, è stato, secondo me, ben rappresentato il tormento del balbuziente di fronte alla parola da pronunciare, fino alla decisione del rifiuto della parola, del mutismo; negli occhi del protagonista, interpretato da Colin Firth, l'angoscia di fronte alla parola pensata o letta ma che non riesce a diventare suono. Moderno anche l'approccio terapeutico, che si rivolge sia all'aspetto meccanico che piscologico, fino all'uso della musica. Un film che, spero, aumenti il tasso generale di umanità e che possa bandire quelle insulse barzellette che hanno come protagonista un balbuziente.
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