Quando anche il jazz è impotente (sottotitolo: Ryanair meets Jazz Post Mistress)

Creato il 27 luglio 2012 da Scribacchina

Il signor Ryanair è un ometto tanto simpatico. Me lo figuro anzianotto, colla lunga barba bianca, sempre sorridente e pronto, come il più noto Babbo Natale, a riempirvi di doni.
Doni che, nel suo caso, son golosissime offerte di viaggi coll’aeroplano.
Sempre pronto anche a strapparvi sorrisi e risate colle belle home page del suo sito:

Debbo tuttavia ammettere che questo gran burlone, il signor Ryanair, ha da qualche tempo guadagnato tutta la mia più incondizionata antipatia, avendo egli spostato le sue dannatissime rotte aeree sulla di me testa. Ergo: da Orio al Serio in direzione bassa bergamasca.
Mi ritrovo dunque quotidianamente a contare gl’aeroplani che mi transitano sopra quella che vien rozzamente definita “capoccia”, apparecchi perfettamente visibili ad occhio nudo (pure senza gl’occhiali li vedo, dannazione) ed altrettanto perfettamente udibili. D’estate non vi serve neppure la sveglia, soliti lettori: colle finestre aperte, potete ricevere il bacio del buongiorno sotto forma di lista “partenze & arrivi” materializzata.

M’augurava, io, che per la serata a Dalmine del Clusone Jazzscelta dopo opportuno lancio dei dadi - il temuto nonnino Ryanair, bontà sua, avrebbe sospeso i varii voli. Illusa Scribacchina: l’andirivieni aereo proseguì imperterrito per tutta la durata del concerto, inframmezzando le note dei tre bravi jazzisti col frastuono tipico d’un aeroporto in piena attività.

Pare tuttavia che i protagonisti della serata non se ne siano accorti: infatti, nonostante il fastidioso sottofondo sonoro, continuarono imperterriti nella produzione di musica sopraffina.

Ma chi sono questi tre giovini tanto garbati e ammodo?
Beh, è presto detto.

Il Post Jazz Mistress è una formazione jazz composta da Osvaldo Di Dio (chitarra), Vincenzo Virgillitto (contrabbasso) e Antonio Fusco (batteria).
Poco prima d’uscir di casa per recarmi in loco, mi venne l’insana curiosità d’ascoltare qualcosa del chitarrista Di Dio, col sentore che un cognome del genere fosse un po’ azzardato per un chitarrista jazz (vai a saperlo, magari il giovine era un lontano parente del Ronnie James). E infatti, manco a farlo apposta, ecco cosa mi rivelò il sempre puntuale YouTube:

Non solo. Incuriosita dal video, cercai altre informazioni sul giovanotto Di Dio, ed appresi ch’egli – tra le mille voci presenti nel curriculum vitae – è autore d’un metodo per chitarra heavy metal.

Con queste premesse, potete capire perché mi recai quasi volando in quel di Dalmine, un enorme sorriso stampato in volto: mica s’ascolta tutt’i giorni un guitar hero ad una soirée del Clusone Jazz.

Contro ogni aspettativa, il concerto fu tutto fuorché Zorn-style: la formazione del Di Dio propose un jazz sì d’avanguardia, sì di ricerca, ma estremamente gradevole ed orecchiabile, equamente diviso tra proposte originali (gran parte provenienti dall’ultimo album Global Warming) e riletture (Corea, Coltrane ed Hancock, senza dimenticar i Beatles, con una versione di Lucy In The Sky With Diamonds che definir da brivido è dir poco).

In conclusione, verificato che neppure il jazz è in grado di far tacere gl’apparecchi del signor Ryanair, temo che restino poche possibilità per la sottoscritta di riprendere a svegliarsi col canto degl’uccellini. O, meno poeticamente, colla puntualissima sveglia dell’inseparabile iPhone.


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