Il Natale, in un periodo di relativismo culturale e di buonismo da due soldi, finisce per dividere piuttosto che unire. Secondo un preside di una scuola elementare del nord Italia, la rappresentazione di un presepe all’interno dell’istituto potrebbe configurarsi come una mancanza di rispetto verso quella fetta di alunni (e relative famiglie) che non si riconoscono nel credo cristiano e quindi, per non fare torto a nessuno, meglio non esporre le pericolosissime statuine della discordia. La discussione, anche grazie al fatto che si è interessato alla questione il leader leghista Matteo Salvini, ha subito suscitato una polemica tra quanti favorevoli al comportamento del preside e quanti invece convinti che una consuetudine culturale di un paese non debba essere modificata per assecondare un ecumenismo poco convincente. Si potrebbe cominciare a parlare adesso delle radici culturali dell’Italia e di come sarebbe sbagliato smentire una matrice religiosa ovvia, sconfessando un patrimonio storico che non offende nessuno a prescindere dal credo, ma sarebbe fuori tema vista la materia del contendere. Stiamo discutendo di un presepe, della rappresentazione di un evento che volendo anche sorvolare il fatto che riguarda con le dovute differenze le tre maggiori religioni monoteiste, non offende nessuno perché il significato intrinseco dello stesso non può provocare alcun tipo di offesa. Parliamo della nascita di quel Gesù che neanche Belzebù in persona avrebbe la faccia tosta di definire causa di divisioni e che per questo, a prescindere dal credo del singolo, nessuno potrebbe percepire come una “minaccia” o peggio ancora un’offesa. Il rischio che piuttosto si corre nel volere apparire così inutilmente open mind - e ci riferiamo al preside in questione – paradossalmente è quello di causare quelle occasioni di divisione che a parole si vorrebbero evitare.
Chi, difatti, per motivo religioso o di principio che sia, dovesse percepire come un’offesa la decisione del solerte funzionario, avrà comprensibilmente un reazione emotiva scomposta verso la causa – o presunta tale – dell’atto. Come uscirne a questo punto si chiederà il preside, ormai perso in un ginepraio di offese? Probabilmente non se lo chiederà. Perché, senza nulla togliere alla sincerità del gesto, ci sono tantissimi esempi di come per quel supposto ecumenismo di facciata di cui parlavamo all’inizio, si preferisca assecondare questo tipo di slanci personali, piuttosto che affrontare le questioni con la dovuta serietà, rischiando anche di dover dire qualche “no” all’indirizzo di richieste immotivate sempre qualora le stesse arrivassero. Se poi, qualcuno mai dovesse andare dal preside dopo aver visto un presepe nell’istituto e lamentare un’offesa per tale affronto, a quel punto avrebbe ragione il solerte funzionario e anche noi dovremmo ammettere la necessità di provvedimenti. Ma i provvedimenti di cui parliamo, dovrebbero essere presi contro chiunque, in maniera stupida e capziosa, vorrebbe pretestuosamente usare un innocuo simbolo per la propria ottusa e ovviamente sbagliata visione della religione, come simbolo di divisione piuttosto che di unione. Chiunque al mondo dovesse mai pensare che un bambinello, due pastori, un asinello e un bue di terracotta possano rappresentare un affronto alla propria religione, sta evidentemente leggendo il Libro al contrario, oppure sta leggendo quello sbagliato. O, peggio ancora, sta volontariamente interpretando in maniera distorta il messaggio del testo.
Luca Arleo