di Lele Mastroleo
© Pasquale Urso
…quando arriverà il giorno
in cui la Bellezza
verrà a gridarti il disprezzo
ed i nani di Velasquez
ti salteranno al collo
per sgozzare la Fantasia,
per darti l’ultimo pasto
da condannato a vivere,
allora e solo allora,
potrai battere le ali,
e giocare finalmente
quel fante di picche
che nascondevi malamente
in ogni tuo taschino,
ed io ti inviterò a ballare
un’altra volta sulla riva dell’Idro
o nella grotta dei Cervi,
a fare notte e a far mattino,
con la malvasia delle piante rizze
e quella del levatico rissoso.
a sentire scoccare le ore
dalla torre campanaria,
a salutare le nuvole di oriente
o la luna ballerina
che stranita come sempre,
aspetta il tuo sorriso bambino,
prima di infilarti il suo coltello rosso
dritto in fondo alla gola,
per spingere le braccia più in alto
sino a rubarti la tua unica mela,
ad uccidere ogni tua meta.
quando arriverà il silenzio
sulle tue labbra
e la Fortuna avrà comprato
un cavallo nuovo,
alla frontiera dei tuoi pensieri,
allora ti prenderà le vesti
che coprono le parole,
e porterà con sè il vento di aprile
che ti ha visto nascere
e che ha visto le rose
coprire la pinnaccia
del tuo destino alla fonda.
a cercare la rondine
dei tuoi racconti,
che ti faccia sentire
il profumo mai usato
di una carezza nuova.
quando arriverà
quello sfiorarsi le mani
con altre mani
le braccia con altre braccia,
quel tuo tenere
il diario della gioia
a portata di mano,
per inciderne i caratteri
di sangue vivo e calce bianca,
con tutto l’incanto
della terra del rimpianto
e della leuca pianura
riarsa dal rimorso,
quando arriverà
la controra sugli stazzi,
nelle chiese dei santi gravidi
e nelle viuzze di catrame
che portano alla banchisa,
quando il giorno
si mescolerà al sonno dei bimbi
alle nere nostre donne
con lo scialle firmato dai briganti,
sarai crocefisso,
al palo della cuccagna.
e quando noi tutti qui,
non avremo più il sale,
per fermare le piaghe,
e nel nostro cielo borbonico
non voleranno più i gabbiani,
che portano il salmastro
e lo scapece marinato,
e la fatica di spostare la collina
sin dietro al sole
non servirà più a niente,
io sarò in giro a vendere il rumore.
Io sarò in giro a vendere il rumore,
quello strillo disilluso della mia vita,
quel:”Lele,chiudi la finestra.e serra l’uscio.
tanto la Poesia non verrà più”,
che urlava mio padre…